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La radiazione di corpo nero
25 Settembre 2016
Ciao! Per gli appassionati di astronomia e per quelli a cui piacciono le stelle, oggi parliamo della radiazione di corpo nero. Può essere utile, per chi non è esperto, rileggere la scorsa newsletter sul redshift, almeno la parte in cui abbiamo parlato della frequenza.
Alcuni di voi si sono poi accorti che nella scorsa newsletter ho detto un’inesattezza. A un certo punto, parlando delle onde, ho scritto “Tutto ciò che possiamo sapere della volta celeste è infatti legato a quello che possiamo vedere con i nostri occhi e con […] le antenne o i telescopi. Ma […] si tratta sempre di onde elettromagnetiche”. Ecco, no. Ora ci sono anche le onde gravitazionali. Ne abbiamo parlato abbondantemente qui, qui e qui. Non sapevo se aggiungerlo o meno, ma poi avevo deciso di no per non complicare il discorso. Ovviamente mi avete beccato.
Anche oggi c’è la vignetta di Ale – in fondo – e, come annunciato, ecco la prima puntata di Storie, il podcast in cui intervisto dei giovani ricercatori. È una cosa nuova e si può migliorare: aspetto i vostri suggerimenti. Oggi è la volta di Francesco Segatta, dell’Università di Bologna, che ci parla dell’occhio: perché vediamo a colori?
Prima di cominciare vi ricordo che dal 24 al 30 settembre sarà la settimana della scienza. In molte città d’Italia si svolgeranno incontri, laboratori e visite guidate per ogni fascia d’età. Un elenco delle attività, delle istituzioni e delle città coinvolte lo trovate qui. Io sarò a Pavia, se qualcuno volesse venire.
Per impressioni e domande la mail è sempre spacebreak [at] francescobussola.it.
Di cosa parliamo oggi
– le stelle
– il corpo nero
– la radiazione di corpo nero
– pillole
Le stelle brillano
Uno dei principali obiettivi dell’astronomia e dell’astrofisica è quello di classificare gli oggetti celesti e capirne la dinamica – come il loro moto o la loro evoluzione – per poi studiare l’origine e, da ultimo, l’origine dell’universo. È un compito difficile. Richiede pazienza, osservazione, una tecnologia sempre più raffinata, una grande dose di immaginazione e diversi modelli teorici da poter confrontare con le misurazioni sperimentali.
Delle stelle, ad esempio, abbiamo imparato molto. Sappiamo che brillano di luce propria perché “bruciano”, ossia perché al loro interno avvengono delle reazioni nucleari che emettono una grande quantità di energia sotto forma di calore e radiazioni, sappiamo che non tutte le stelle hanno la stessa massa e, ancora più importante, che hanno temperature superficiali diverse e età diverse.
Ma come sappiamo tutto ciò? Una gran parte di queste informazioni le possiamo ricavare analizzando la luce emessa dalle stelle o, più correttamente, analizzando i segnali elettromagnetici che emettono: non solo la luce visibile, quindi, ma anche le onde radio, le microonde, gli infrarossi, gli ultravioletti, i raggi X e i raggi gamma. Tutti questi segnali sono onde elettromagnetiche e viaggiano alla velocità della luce, ma hanno frequenze diverse. È il motivo per cui il nostro occhio vede la luce visibile, ma non gli altri segnali: riusciamo a percepire solo quelle frequenze (cos’è la frequenza?).
Il corpo nero
Per poter studiare i segnali emessi dalle stelle, però, è necessario avere un modello di confronto che permetta di collegare ciò che misuriamo – attraverso le antenne e i telescopi – con delle proprietà macroscopiche, come ad esempio la temperatura superficiale.
Quello che possiamo misurare, in sostanza, è l’intensità dei segnali elettromagnetici emessi dalla stella: ci sono stelle che emettono principalmente raggi ultravioletti, altre che hanno un picco di emissione negli infrarossi e così via. Ad ogni frequenza la stella emette con un’intensità diversa e questo andamento è chiamato spettro di emissione.
Il modello che usiamo per mimare lo spettro di emissione delle stelle è il cosiddetto corpo nero.
Un corpo nero in fisica è quello che dice di essere: un corpo completamente nero che assorbe tutta la radiazione elettromagnetica che lo colpisce, senza rifletterla, per poi emetterla nuovamente sotto forma di radiazione termica (ne avevamo già parlato qui). Un corpo nero è ovviamente un oggetto ideale – ogni materiale riflette un po’ la luce – ma si è dimostrato uno strumento efficace per studiare i fenomeni elettromagnetici, in particolare gli spettri di emissioni degli oggetti celesti. La particolarità più importante del corpo nero è che l’energia riemessa, chiamata radiazione di corpo nero, dipende solo dalla sua temperatura ed è indipendente dalla forma o dal materiale di cui è costituito.
La radiazione di corpo nero
Ciò che si può notare, studiando la radiazione emessa dalle stelle, è che il loro spettro di emissione è analogo allo spettro della radiazione di corpo nero. In parole povere, questo significa che la radiazione di corpo nero può essere usata come modello per studiare lo spettro di emissione delle stelle: più cose impariamo sui corpi neri, più cose impariamo sugli oggetti celesti.
Un corpo nero lo si può simulare utilizzando una fornace riscaldata a una certa temperatura. La luce che entra nella fornace rimane intrappolata – e questo simula l’assorbimento totale senza riflessione – per poi essere riemessa sotto forma di radiazione termica – e questo simula lo spettro di emissione.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento i fisici stavano cercando una formula matematica per descrivere lo spettro di radiazione di corpo nero. Si avvalevano, allora, delle leggi dell’elettromagnetismo di Maxwell e delle leggi della termodinamica classica.
Un primo tentativo fu fatto dal fisico tedesco Wilhelm Wien, che, utilizzando le leggi dei gas, riuscì a riprodurre l’andamento della curva di corpo nero. La curva, che è poi lo spettro di cui abbiamo parlato, aveva un massimo di emissione, come ci si aspettava, ma non era in accordo con i dati sperimentali a basse frequenze.
Un secondo tentativo fu fatto dagli inglesi Rayleigh e Jeans. La loro curva, ricavata attraverso le leggi dell’elettromagnetismo, era in accordo coni dati sperimentali a basse frequenze, ma falliva clamorosamente ad alte frequenze: non solo non riproduceva i dati, ma non prediceva nemmeno l’esistenza di un massimo di emissione. Se le cose fossero state così, ad alte frequenze ci sarebbe stata un’emissione infinita di energia.
Lo strano andamento della curva di Rayleigh e Jeans, prese per questo motivo il nome evocativo di catastrofe ultravioletta.
Nel grafico qui sotto potete vedere le curve di Wien e Rayleigh-Jeans confrontate con l’andamento dei dati sperimentali. La frequenza diminuisce da sinistra a destra, mentre sulla verticale c’è la potenza emessa.
Il fallimento della termodinamica, ma soprattutto dell’elettromagnetismo, nel descrivere lo spettro di radiazione di corpo nero, fu uno dei primi segnali che portò a mettere in discussione la fisica classica. La soluzione a questo problema, infatti, risiedeva nelle leggi della Meccanica quantistica (che cos’è la Meccanica quantistica?) e fu proposta dal fisico tedesco Max Planck.
Secondo Planck, la radiazione non viene emessa dal corpo nero in maniera continua, ma è suddivisa in piccoli pacchetti di energia – i famosi quanti (da cui Meccanica “quantistica”). Ad alte frequenze, ossia a piccole lunghezze d’onda, i pacchetti sono più grandi, mentre sono più piccoli a basse frequenze.
Se però l’energia è emessa in pacchetti, significa che la superficie del corpo nero, prima di emettere radiazione, deve avere abbastanza energia per completare un quanto. Se non ne ha, non avviene l’emissione di energia.
È questa la rivoluzione della Meccanica quantistica: i fenomeni fisici non sono continui, ma sono discretizzati o, per dirla come i fisici, quantizzati.
Neanche a dirlo, la legge di Planck combaciava perfettamente con la curva di Wien ad alte frequenze e con la curva di Rayleigh-Jeans a basse frequenze, in perfetto accordo con i dati sperimentali.
La legge di Wien
Un’altra cosa importante da ricordare è che, più il corpo nero è caldo, più gli atomi che lo compongono oscillano, più hanno energia, più possono emettere dei pacchetti di energia grandi sotto forma di radiazione. E ricordate che se un pacchetto di energia è grande, significa che è ad alta frequenza.
Perciò, se la temperatura di un corpo nero cambia, cambia anche la frequenza in cui c’è il picco di emissione ed esiste una legge che lega il massimo di emissione alla temperatura del corpo. Questa legge fu formulata sempre da Wien e permette di stimare la temperatura superficiale di una stella: basta analizzare lo spettro di radiazione, disegnare la sua curva, individuare il massimo di emissione e utilizzare la legge di Wien per ricavare la temperatura.
Nell’immagine qui sotto sono disegnate le curve di Planck per dei corpi neri a varie temperature (T). Come vedete, al diminuire della temperatura il picco di emissione si sposta a lunghezze d’onda maggiori, ossia a frequenze più basse. La linea tratteggiata segue la legge di Wien.
Pillole
Alcune notizie di questi giorni, brevi.
OSIRIS-REx è partita
È stata lanciata l’8 settembre da Cape Canaveral la missione OSIRIS-REx, per raggiungere un asteroide, recuperare dei campioni e riportarli a terra. La sonda è ora diretta verso l’asteroide Bennu e lo raggiungerà nell’Agosto 2018. Prima di raccogliere dei campioni, OSIRIS-REx mapperà la superficie dell’asteroide usando uno scanner laser tridimensionale.
Cuore, per studiare i neutrini
Cuore (Cryogenic Underground Observatory for Rare Events) è un esperimento concepito per studiare le proprietà dei neutrini e in particolare per investigare l’esistenza di un processo fisico chiamato “doppio decadimento beta senza emissione di neutrini”. Nelle prossime settimane, dopo gli ultimi ritocchi, inizieranno le operazioni scientifiche. Dettagli qui.
Un sacco di buchi neri
Una ricerca dell’Università di Surrey, in Inghilterra, ha individuato centinaia di buchi neri all’interno dell’ammasso globulari di stelle NGC 6101, utilizzando delle avanzate simulazioni al computer. Solo la presenza di buchi neri può infatti spiegare la particolare dinamica dell’ammasso, ossia il movimento delle stelle che lo compongono. Le simulazioni al computer sfruttano le leggi fisiche conosciute per individuare oggetti celesti che altrimenti non potremmo vedere, determinandone le loro caratteristiche.
Abbiamo trovato Philae
Il lander Philae è un piccolo robot che è stato depositato dalla sonda Rosetta sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko il 12 Novembre 2014. L’atterraggio sulla cometa fu piuttosto rocambolesco, tanto che Philae finì in una zona poco illuminata da Sole ed entrò in ibernazione fino a scaricarsi completamente, permettendo agli scienziati di comunicare con lui poche volte. Ora Rosetta, che orbita attorno alla cometa, gli ha fatto una foto.
Come è oscillata la temperatura negli ultimi 136 anni rispetto alla media annuale? Ce lo spiega la NASA. Attenzione che il grafico non è facilissimo da interpretare. La fisica di Ale
La striscia di oggi. I fumetti di Alessandro sono su Vuoto Comico. Per approfondire
– La radiazione di corpo nero, in un video
– Un po’ di formule
– Volete giocare con la la legge di Planck? Qui un tutorial in inglese.
Il redshift
3 Settembre 2016
Ciao a tutti! Dopo una pausa estiva Space break ricomincia e ci sono delle novità.
Primo. Al famoso sondaggione ha risposto circa il 30% dei lettori delle newsletter. Seguendo le indicazioni che mi avete dato, le newsletter usciranno ogni due settimane, anziché ogni settimana. Questo probabilmente vi darà più tempo per leggerle e anche io avrò più tempo per scriverle. Prometto però di non allungarle, che sennò non funziona.
Per quanto riguarda il giorno, invece, quasi il 60% le vorrebbe ricevere nella seconda parte della settimana, il giovedì, venerdì o sabato. Considerando che le newsletter erano di giovedì, direi che non c’è un particolare motivo per cambiare. Poi come al solito non ci formalizziamo: se qualche volta sono costretto a mandarle di lunedì o sabato, io faccio finta di niente e voi non vi arrabbiate.
Terrò anche conto dei vostri suggerimenti sugli argomenti. Per chi avesse proposte o domande l’indirizzo è sempre spacebreak [at] francescobussola.it
Secondo. Space break si allarga con il podcast Storie.
Una volta al mese intervisterò dei giovani ricercatori in fisica. Parleremo di un po’ di tutto, dall’astrofisica alla fisica medica.
Storie comincia la prossima settimana. Metterò il link ai podcast direttamente nella newsletter. Fatemi sapere che ne pensate.
Terzo. Abbiamo un nuovo compagno di viaggio. Si chiama Alessandro Toffali, ha studiato fisica e, ogni tanto, disegna fumetti. Gli ho chiesto se avesse voglia di regalarci delle strisce legate agli argomenti delle newsletter. Ha detto di sì, per cui troverete i suoi lavori in fondo alla mail, prima degli approfondimenti. Su internet, lo trovate qui.
Di cosa parliamo oggi
– le onde e la luce
– la frequenza
– il redshift
– pillole
Le onde e la luce
Quasi sei mesi fa – come passa il tempo – mentre stavamo parlando della dualità onda particella, avevamo studiato un po’ il comportamento delle onde. Avevamo visto, tra le altre cose, che anche la luce – che è un fenomeno elettromagnetico – si comporta spesso come un’onda: avete presente le onde elettromagnetiche? Ecco, la luce è una di quelle.
Cerchiamo però di capire come funzionano le onde. Per farlo, immaginiamo le onde del mare, oppure le onde che possiamo creare dando dei colpi a una corda, come nell’animazione qui sotto.
Queste onde si propagano, cioè si muovono, creando delle creste e delle conche. La velocità con cui le creste si muovono in avanti è la velocità dell’onda. La distanza tra due creste consecutive è chiamata lunghezza d’onda. E poi c’è la frequenza.
La frequenza
Per capire cos’è la frequenza di un’onda guardiamo questa animazione di un’onda che si propaga.
Fissate ora un punto dell’animazione – ad esempio fissate il margine destro. Ogni volta che in quel punto ripassa una delle creste dell’onda, il pallino sulla circonferenza a sinistra ha fatto un ciclo completo. La frequenza di un’onda è il numero di cicli compiuti in un secondo. L’unità di misura della frequenza è dunque il “numero dei cicli” per secondo, ed è chiamata Hertz (abbreviata in Hz), in onore del fisico tedesco Heinrich Hertz.
Perciò se diciamo che un’onda ha una frequenza di 12 Hz, significa che, fissando un punto al suo passaggio, in un secondo vedremmo l’onda fare 12 cicli completi, ossia vedremmo passare 12 creste.
Pensate anche alle onde radio. Vi siete mai sintonizzati sulla frequenza 102.5 MHz? Significa che il segnale radio che trasmette quel canale è modulato su un’onda di frequenza 102 milioni 500 mila Hz. Quell’onda dunque, fa più di 102 milioni di cicli in un solo secondo.Esiste poi una legge che lega la velocità di un’onda alla sua frequenza e alla lunghezza d’onda. Questa legge, quando la velocità dell’onda è costante, dice una cosa importante: se aumenta la frequenza diminuisce la lunghezza d’onda e viceversa. Perciò generalmente onde con un’alta frequenza – ossia che fanno tanti cicli al secondo – hanno una piccola lunghezza d’onda e le creste molto vicine tra loro. Onde a bassa frequenza hanno invece delle lunghezze d’onda maggiori e le creste sono più distanziate.
Il redshift
Capire come funzionano le onde – e in particolare le onde elettromagnetiche, tra cui la luce – è importante quando si vuole osservare l’universo. Tutto ciò che possiamo sapere della volta celeste è infatti legato a quello che possiamo vedere con i nostri occhi – la luce – e con gli strumenti tecnologici come le antenne o i telescopi. Ma che siano raggi luminosi, raggi ultravioletti, segnali radio o infrarossi, si tratta sempre di onde elettromagnetiche, con una velocità costante (la velocità della luce), una frequenza e una lunghezza d’onda.
Cosa succede quando osserviamo un corpo celeste
Quando osserviamo un corpo celeste, come una stella o una galassia, i nostri telescopi ricevono onde elettromagnetiche di ogni frequenza: onde radio (frequenze minori di 250 MHz), microonde (da 250 MHz a 300 GHz), infrarossi (300 GHz – 428 THz), luce visibile dal rosso al viola (428 THz – 749 THz), ultravioletti (749 THz – 30 PHz), raggi X (30 PHz – 300 EHz) e raggi gamma (frequenze maggiori di 300 EHz). Ovviamente il corpo celeste non emette con la stessa intensità ad ogni frequenza: corpi estremamente freddi emettono quasi esclusivamente onde radio o microonde, mentre corpi estremamente caldi emettono soprattutto raggi X e raggi gamma. Come vedete dall’elenco di prima, a temperature intermedie vengono emessi principalmente infrarossi, luce visibile e ultravioletti. Non è un caso che gli occhi degli animali sulla Terra si siano sviluppati per percepire questi tre tipi di segnali.
Capire quindi quali onde elettromagnetiche vengono emesse con più intensità da un corpo celeste, permette di stabilire la sua temperatura superficiale, un dato molto importante.
La distribuzione con cui una stella emette a varie frequenze con varie intensità è chiamata spettro di radiazione del corpo nero. Ne parleremo la prossima volta.
L’effetto Doppler
Ma c’è un però. Determinare la temperatura superficiale di un corpo celeste non è così facile se il corpo si muove rispetto a noi. Per capire qual è il problema, pensate a cosa succede quando passa un’ambulanza con le sirene accese. Il suono delle sirene viaggia verso di voi attraverso un’onda sonora e ha una certa frequenza, così come le note musicali. Mentre l’ambulanza si avvicina il suono è molto acuto, ma quando l’ambulanza vi sorpassa e comincia ad allontanarsida voi, il suono si fa improvvisamente più sordo, come in questo video.
Cosa accade? Siccome la sorgente dell’onda – in questo caso l’ambulanza – si sta muovendo, cambia la distanza tra le creste dell’onda. Se la sorgente si muove verso di voi la distanza tra le creste si schiaccia, diminuisce la lunghezza d’onda, aumenta la frequenza e il suono si fa più acuto del normale. Se la sorgente invece si allontana, la distanza tra le creste si allunga, aumenta la lunghezza d’onda, diminuisce la frequenza il suono si fa più sordo.
La stessa cosa accade alle onde elettromagnetiche quando un corpo si avvicina o si allontana da noi. Se il corpo si avvicina, si dice che c’è uno spostamento verso il blu del segnale (a frequenze più alte vediamo colori più freddi). Se il corpo si allontana, si dice che c’è uno spostamento verso il rosso del segnale. Il primo è chiamato blueshift. Il secondo redshift.
Di blueshift non ce n’è
Osservando gli oggetti celesti, ci si è accorti che la maggior parte dei loro segnali elettromagnetici hanno uno spostamento verso il rosso. Questo significa che quasi tutte le stelle, i sistemi solari e le galassie che osserviamo si stanno allontanando da noi. Fanno eccezione la galassia di Andromeda, il lato che ruota verso noi quando osserviamo delle galassie a spirale e alcune stelle vicine che si muovono verso di noi.
Il fatto che la quasi totalità dei corpi celesti, in qualsiasi direzione del cielo guardiamo, presenti redshift è considerata una delle prove a favore della teoria dell’espansione dell’universo: i corpi non si allontanano perché “si muovono allontanandosi da noi”, ma perché tutto l’universo è in espansione e dunque aumenta la distanza tra i corpi.Il redshift gravitazionale
L’allontanamento della sorgente o l’espansione dell’universo non sono gli unici fattori che possono causare il redshift o il blueshift. Lo stesso effetto si può ottenere se lo spaziotempo tra due corpi nell’universo è curvo a causa della gravità. Abbiamo visto – parlando della Relatività Generale – che lo spaziotempo, la struttura su cui “poggia l’universo” è come un tappeto elastico che si deforma quando ci sono dei corpi massivi. Questa deformazione modifica anche il modo con cui si calcolano le distanze tra due punti dell’universo: se la deformazione è molto grande, la distanza tra i corpi cambia sensibilmente dando origine a uno spostamento molto sensibile delle frequenze delle onde elettromagnetiche. Il redshift dovuto alla deformazione gravitazionale dello spaziotempo è chiamato anche Einstein shift.
Pillole
Alcune notizie di questi giorni, brevi.
Proxima centauri b
È stato scoperto, fuori dal nostro sistema solare, un nuovo pianeta: si chiama Proxima centauri b, ruota intorno alla stella Proxima centauri ed è il pianeta in una zona abitabile più vicino a noi. Ecco il video di presentazione. Qui un articolo più che completo di Emanuele Menietti.
Superconduttori
Nell’ultima newsletter abbiamo parlato di superconduttori. Nel frattempo è stata presentata per la prima volta la struttura cristallina di un superconduttore ad “alte” temperature. Il solfuro di idrogeno (H2S) diventa superconduttore a soli -70°C. È il materiale che diventa superconduttore alla temperatura più alta, per ora. Non ci si può distrarre un attimo.
La scienza e il terremoto
Dopo il terremoto che ha colpito il centro Italia, il satellite europeo Copernicus è stato utilizzato per assistere le squadre di intervento nelle operazioni di ricerca e salvataggio.
Il fotone oscuro
L’Istituto nazionale di fisica nucleare ha dato il via all’esperimento Padme, dedicato alla ricerca del “fotone oscuro”. Il fotone oscuro è un’ipotetica particella, simile al fotone delle onde elettromagnetiche, ma con una piccola massa. La sua esistenza è prevista da alcuni recenti modelli teorici che provano a descrivere la materia oscura. (Cos’è un fotone?)
Un anno su Marte, alle Hawaii
Sei persone hanno partecipato per un anno a una missione per simulare le condizioni di vita degli astronauti su Marte. L’esperimento si è svolto alle Hawaii, ma non in spiaggia.
La fisica di Ale
La striscia di oggi. I fumetti di Alessandro sono su Vuoto Comico.
– Come fa il redshift a misurare l’espansione dell’Universo?
– Il redshift in un video (in inglese, con sottotitoli)
– Come funziona il forno a microonde
La superconduttività
27 Agosto 2016
Ciao! Come va l’estate? La scorsa volta ci siamo lasciati con un sondaggione su Space break al quale potete ancora rispondere. Chi non l’ha fatto ha l’ultima occasione. In particolare sarebbe bello che diciate la vostra sulla cadenze delle newsletter: le preferite settimanali, bisettimanali o mensili? E in che giorno della settimana? Sondaggione, appunto.
Le newsletter ripartiranno con una certa regolarità a inizio settembre e ci saranno delle novità. Siate pronti.
Oggi invece parliamo della superconduttività e della teoria BCS. In fondo trovate anche alcune notizie di queste settimane.
Per scrivermi l’indirizzo è sempre spacebreak [at] francescobussola.it.
Di cosa parliamo oggi
– resistività e conducibilità elettrica
– i superconduttori
– la teoria BCS
– pillole del mese
Resistività e conducibilità
Non tutti i materiali conducono la corrente elettrica allo stesso modo. Sappiamo un po’ tutti che la gomma è un buon isolante, mentre è più facile prendere la scossa utilizzando degli oggetti metallici. È il motivo per cui i fili della corrente sono fatti quasi sempre di rame – non è il miglior metallo da usare, ma è uno dei meno costosi – mentre i rivestimenti sono fatti di gomma o plastica.
Ma cosa vuol dire che un materiale conduce la corrente? Sappiamo che la materia è fatta di atomi e che questi atomi hanno una struttura interna, ossia sono composti da un nucleo – che contiene i protoni e i neutroni – e da degli elettroni – delle particelle molto piccole e leggere che ruotano intorno al nucleo (per chi volesse approfondire ne abbiamo parlato qui). Gli elettroni si dispongono attorno al nucleo in particolari strutture, chiamate orbitali atomici. Gli elettroni che si trovano negli orbitali più vicini al nucleo dell’atomo, solitamente se ne stanno lì tranquilli, mentre quelli più esterni – che vengono chiamati elettroni di valenza – hanno a volte la possibilità di sganciarsi dall’atomo e se accade che gli atomi sono legati tra loro in certe configurazioni, questi elettroni riescono a muoversi nel materiale, saltando da un atomo all’altro.
La facilità con cui questi elettroni riescono a muoversi è chiamata conducibilità elettrica: i materiali con un’alta conducibilità, sono dunque chiamati conduttori elettrici.
Tra i migliori conduttori elettrici troviamo appunto i metalli, che grazie alla struttura in cui sono disposti i loro atomi e al fatto che condividono molti elettroni di valenza, oppongono poca resistenza al flusso degli elettroni nel materiale. Per attivare questo flusso di elettroni bisogna applicare una differenza di potenziale elettrico, chiamata anche tensione. Insomma, bisogna fare in modo che gli elettroni nel materiale decidano di andare in una direzione particolare. Otteniamo questo risultato, ad esempio, quando inseriamo una spina in una presa elettrica, che fornisce una tensione di 230 Volt, o quando si collegano con un circuito i due capi di una batteria: gli elettroni si mettono in moto.
Nell’animazione qui sotto vedete i capi di una batteria collegati con la carta metallizzata delle gomme da masticare: la batteria ha una differenza di potenziale tra i due capi, che mette in movimento gli elettroni nel metallo. Il metallo comincia a scaldarsi e infine la carta a cui è incollato brucia.
I capi di una batteria collegati con della carta metallizzata.
Il contrario della conducibilità è la resistività elettrica. Più un materiale è resistivo, meno è un conduttore e viceversa.
Inoltre la capacità dei materiali di condurre l’elettricità dipende dalla loro temperatura. Tendenzialmente, la resistività di un conduttore diminuisce man mano che diminuisce la temperatura – è uno dei motivi per cui molti circuiti elettrici hanno dei sistemi di raffreddamento. Tuttavia la resistività non si annulla mai: buoni conduttori come l’oro, l’argento e il rame hanno una resistività non nulla anche allo zero assoluto (-273,15°C), che è la temperatura più bassa raggiungibile.
I superconduttori
Eppure esistono dei materiali che, a temperature prossime allo zero assoluto, non oppongono alcuna resistenza al passaggio della corrente. Sono i materiali superconduttori.
La superconduttività fu scoperta nel 1911 dal fisico Heike Kamerlingh Onnes mentre studiava un campione di mercurio a temperature prossime allo zero assoluto (Onnes è famoso soprattutto per essere riuscito a creare l’elio liquido – ne abbiamo parlato in questa newsletter). A circa -269°C, la resistività del mercurio al passaggio della corrente diventa improvvisamente nulla: ciò significa che gli elettroni riescono a muoversi nel materiale senza perdere energia, in una specie di “moto perpetuo”. Chi segue le newsletter avrà notato una certa somiglianza con il fenomeno della superfluidità. La superfluità, così come la superconduttività, si presenta in alcune sostanze solo al di sotto di una determinata temperatura, che varia da materiale a materiale.
Quanti superconduttori ci sono?
Dal 1911 a oggi sono stati scoperti molte sostanze in grado di trasformarsi in superconduttori. Tra questi troviamo una trentina di metalli, con temperature di transizione tra i -273°C e i -264°C, varie leghe metalliche o composti più complessi. Esistono ceramiche che diventano superconduttori già a -200°C. Nel 1993 fu scoperta una ceramica in grado di trasformarsi in superconduttore a −135 °C.
La scoperta di materiali superconduttori a temperature più alte favorirebbe il loro utilizzo in campo elettronico: garantirebbero una trasmissione di corrente senza alcuna dispersione di energia. Tuttavia non è ancora stato trovato un superconduttore a temperatura ambiente – e non è detto che lo si troverà mai.
Si possono utilizzare?
L’utilizzo dei superconduttori non è comunque facile, perché in presenza di correnti o campi magnetici elevati il materiale torna allo stato normale. La presenza di campi elettromagnetici, infatti, abbassa la temperatura critica a cui avviene la transizione allo stato di superconduttore. Per trasformare nuovamente il materiale in superconduttore bisogna quindi diminuire ulteriormente la temperatura, ma più è bassa la temperatura, più diventa difficile abbassarla.
I superconduttori sono quindi molto usati in ambito sperimentale, laddove ci sono i fondi e le tecnologie per raggiungere temperature così basse. Al CERN di Ginevra, ad esempio, vengono utilizzati come conduttori di corrente per gli acceleratori di particelle. Esistono però anche alcune applicazioni industriali – come l’installazione di cavi per la conduzione della corrente, la realizzazione di elettromagneti o la costruzione dei magnetometri SQUID (Superconducting Quantum Interference Devices) – e in campo medico, dove i superconduttori vengono utilizzati per la risonanza magnetica nucleare.
L’effetto Meissner-Ochsenfeld
Tra i vari effetti presentati dai superconduttori, il più interessante è forse l’effetto Meissner-Ochsenfeld, scoperto nel 1933. Se si prende un superconduttore, lo si “immerge” in un campo magnetico e si abbassa l’intensità del campo magnetico al di sotto di una certa soglia, si creano sulla superficie del superconduttore delle correnti che inducono, all’interno, un campo magnetico opposto a quello applicato. In sostanza significa che all’interno del superconduttore il campo magnetico si “spegne”.
Questo effetto è quello che permette di ottenere una levitazione magnetica stabile: si prende un superconduttore, gli si appoggia sopra una calamita e poi lo si raffredda fino a raggiungere la temperatura critica. Ecco quello che accade.
Un magnete, appoggiato sopra un superconduttore raffreddato
con azoto liquido, comincia a levitare.
La teoria BCS
Per spiegare il comportamento dei superconduttori non è sufficiente la fisica classica ed è necessario utilizzare le leggi della Meccanica quantistica. Negli anni cinquanta i fisici Bardeen, Cooper e Schrieffer svilupparono una teoria per descrivere il fenomeno della superconduttività. Come abbiamo già visto in qualche newsletter, in natura esistono due grandi famiglie di particelle, i bosoni e i fermioni. Gli elettroni, le particelle che nei conduttori trasportano la carica elettrica, sono fermioni. La teoria BCS prevede che nei superconduttori gli elettroni si uniscano a formare delle coppie, chiamate coppie di Cooper e che siano queste coppie a trasportare la carica elettrica al posto dei singoli elettroni. Tuttavia queste coppie non si comportano più come fermioni, ma come bosoni, che obbediscono a leggi fisiche completamente diverse e che hanno possibilità di muoversi nel materiale più liberamente.
Pillole del mese
Alcune notizie di queste settimane, in breve.
Nuova particella al CERN? Pare di no
Nei mesi scorsi si era vociferato della possibile scoperta di una nuova particella al CERN. Nuove misurazionisembrerebbero escludere questa possibilità. Il picco rilevato potrebbe essere stata una semplice fluttuazione statistica delle misure. (Cos’è il CERN?)
Il bosone di Higgs, di nuovo
Sempre al CERN è stato nuovamente misurato il bosone di Higgs. I nuovi dati permetteranno di studiare la particella più nel dettaglio. (Cos’è il bosone di Higgs?)
A caccia di asteroidi
La NASA ha approvato la fase di sviluppo dei componenti robotici di ARM (Asteroid Redirect Mission), un progetto che prevede la cattura e il dirottamento di un asteroide di circa 4 metri. Una volta trascinato in un’orbita stabile l’asteroide potrebbe essere visitato da due astronauti utilizzando una capsula Orion.
ER=EPR
Potreste aver letto da qualche parte che il fisico Susskind ha proposto un’equazione che potrebbe risolvere il problema dell’unificazione della Relatività Generale con la Meccanica quantistica. L’equazione recita ER=EPR e afferma che ci potrebbe essere un qualche collegamento fisico e geometrico tra gli wormholes di Einstein e Rosen (i famosi “tunnel spaziotemporali” che si vedono nei film) e il paradosso di Einstein Podolski e Rosen, che riguarda l’entaglement, un fenomeno molto esotico che si incontra in Meccanica quantistica (ne parleremo). L’argomento sembra piuttosto speculativo, soprattutto considerando il fatto che gli wormholes, per quel che ne sappiamo, non esistono. È bene quindi essere prudenti ed evitare toni troppo enfatici. Comunque sia, per chi è curioso, ecco qui il paper di Susskind.
Per approfondire
– La levitazione magnetica nei superconduttori (video in inglese)
– Una registrazione Rai sui superconduttori
– Marina Putti spiega le applicazioni dei superconduttori (video, un po’ tecnico)
Mi chiamo Francesco Bussola. Sono un dottore di ricerca in fisica, un insegnante di scuola superiore, un divulgatore scientifico. Gestisco Space break, una newsletter di fisica, tecnologia e esplorazioni spaziali.
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