Che cos’è lo spin
La fisica si occupa di studiare alcune grandezze che possono essere misurate, come ad esempio la velocità o la posizione di un corpo. Una di queste è lo spin, una proprietà legata alla Meccanica quantistica.
Oltre a questo oggi parliamo di Hawking, tanto per cambiare, e della ricerca sulle tecnologie quantistiche.Se ti piace la newsletter puoi suggerire ai tuoi amici di iscriversi e invitarli a mettere mi piace sulla pagina facebook, dove ogni tanto pubblico degli approfondimenti e dei video. Space break ha anche un account twitter.
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Di cosa parliamo oggi
– la fisica e le quantità osservabili
– lo spin
– bosoni e fermioni
– pillole della settimana
La fisica e le quantità osservabili
Ci sono varie discipline che cercano di dare delle spiegazioni sulla natura delle cose. La fisica, la filosofia e la teologia sono tra queste. A differenza delle altre, però, la fisica si occupa di studiare e misurare delle quantità. La domanda ultima dei fisici non è infatti perché le cose accadono, ma come. Si sviluppa una teoria che predice dei risultati e si confrontano questi risultati con gli esperimenti. Ciò che differenzia la fisica dalle altre discipline è dunque il concetto di falsificabilità: se il risultato è compatibile con gli esperimenti, la teoria è buona, altrimenti c’è qualcosa da sistemare.
Esistono quindi in fisica delle quantità più importanti di altre, dette osservabili. Sono le quantità che possiamo misurare.
Alcune osservabili le conosciamo tutti: la velocità di un corpo o la sua posizione, ad esempio. In Meccanica quantistica – quella teoria fisica che si occupa dell’infinitamente piccolo – le osservabili hanno una descrizione matematica piuttosto complicata e obbediscono a delle leggi un po’ controintuitive, come ad esempio il principio di indeterminazione di Heisenberg (di cui abbiamo parlato). Inoltre predice l’esistenza di alcune osservabili che la Meccanica classica – quella di Galileo e Newton – non prevedeva. Una di queste è lo spin.
Lo spin
Nelle scorse newsletter abbiamo detto che lo stato fisico di una particella – ossia l’insieme delle sue proprietà fisiche, come la velocità, la posizione e così via – è descritto dalla Meccanica quantistica attraverso un oggetto matematico chiamato funzione d’onda. Non mi dilungo nella spiegazione perché ne abbiamo parlato più volte – qui, qui e qui. Abbiamo anche visto la settimana scorsa che le particelle, oltre ad avere una posizione, una velocità o una carica elettrica, possono avere altre proprietà fisiche e che una di queste è chiamata appunto spin.
Lo spin è importante perché influenza il comportamento di alcune particelle. In un atomo, ad esempio, due elettroni con lo stesso spin non possono avere la stessa funzione d’onda. Questo legge, chiamata principio di esclusione di Pauli, determina direttamente la struttura degli atomi e dunque le proprietà della materia. Ma cos’è lo spin?
Lo spin, semplificando troppo
Immaginiamo un pianeta che ruota su se stesso, come una trottola. Si dice in fisica che questo pianeta ha un momento angolare. Il momento angolare è una quantità che descrive la rotazione di un corpo. Quanti giri deve fare il pianeta prima di mostrare nuovamente la sua faccia iniziale? Uno. Dopo un giro, ossia dopo una rotazione di 360°, il pianeta torna nella posizione di partenza.
Lo spin è una proprietà fisica delle particelle simile al momento angolare. Se il pianeta fosse una particella e stessimo parlando del suo spin, diremmo che il pianeta ha spin 1: dopo 360° ha mostrato nuovamente il suo volto iniziale.
Prendiamo ora, al posto di un pianeta, una moneta con entrambe le facce uguali. Di quanti gradi bisogna ruotarla perché torni nella sua posizione di partenza? Se le due facce sono indistinguibili, basta ruotarla di mezzo giro, ossia di 180°, per riportarla nella posizione iniziale. Se la moneta fosse una particella e stessimo parlando del suo spin, diremmo che la moneta ha spin 2: dopo 180° (=360°/2) ha mostrato il suo volto iniziale.
Lo spin, per i coraggiosi
Però lo spin non ci dice come ruotano le particelle. Per descrivere la rotazione delle particelle abbiamo già una quantità fisica – il momento angolare, appunto. Paragonare lo spin a una quantità classica come il momento angolare è una semplificazione fuorviante.
Esistono infatti particelle che hanno spin 1/2 – come gli elettroni – o spin 3/2, 5/2 e così via. Usando la metafora di prima, una particella con spin 1/2 dovrebbe fare due giri prima di tornare nella posizione di partenza. Chiaramente, detta così, non ha molto senso: l’analogia con il momento angolare non torna.
Purtroppo non c’è un modo per spiegare in maniera approfondita lo spin senza utilizzare la matematica e il formalismo della Meccanica quantistica.
È però interessante notare che lo spin è legato alle proprietà magnetiche delle particelle. Immaginate ogni particella come una piccola calamita, con un polo nord e un polo sud. In un certo senso lo spin ci dice la direzione e l’intensità di questa calamita.
È proprio questa idea che viene sfruttata quando facciamo una risonanza magnetica in ospedale. La risonanza magnetica funziona grossomodo così. Il nostro corpo viene messo dentro un grande magnete. Le particelle che compongono il nostro corpo sentono il campo magnetico creato dal magnete e, come tante piccole calamite, allineano il loro spin nella direzione del magnete, un po’ come fa l’ago della bussola quando si allinea al campo magnetico della Terra. Quando poi il magnete viene spento, gli spin ritornano nella posizione originale, rilasciando dell’energia. Questa energia può essere misurata e, siccome ogni particella rilascia un’energia diversa, è possibile ricreare un’immagine dei nostri organi interni.
Bosoni e fermioni
Quando abbiamo parlato del Modello standard delle particelle, abbiamo detto che le particelle elementari si dividono in due grandi gruppi: i bosoni e i fermioni.
Ciò che suddivide le particelle in queste due grandi famiglie è proprio lo spin. Tutte le particelle che hanno spin intero, ossia quelle con spin 0, 1, 2, 3 e così via sono bosoni. Tutte le particelle con spin semintero, ossia con spin 1/2 (come gli elettroni), 3/2, 5/2 e così via sono fermioni. Bosoni e fermioni hanno caratteristiche molto diverse. I fermioni, ad esempio – che seguono una legge statistica chiamata statistica di Fermi – rispettano il principio di esclusione di Pauli, mentre i bosoni – che seguono la statistica di Bose-Einstein – no. Questa differenza ha conseguenze importanti sul comportamento delle particelle e su come interagiscono tra loro.
Pillole della settimana
Alcune notizie di questi giorni, brevi.
Hawking vicino al Nobel?
Alcune testate giornalistiche italiane, citando come fonte il Times, riportano la notizia che Hawking sarebbe vicino al premio Nobel. Hawking è famoso principalmente per aver predetto l’esistenza della radiazione di Hawking, una radiazione termica emessa dai buchi neri. Il Nobel sarebbe giustificato dal fatto che un gruppo di ricerca israeliano, guidato dal fisico Jeff Steinhauer, avrebbe dimostrato la predizione teorica di Hawking creando “un buco nero da laboratorio”. Direi di andarci cauti. Leggendo l’articolo di Steinhauer ci si rende conto – come era prevedibile – che l’esperimento non riguarda i buchi neri. Si tratta – per chi sa cos’è – di un condensato di Bose-Einstein, confinato da dei laser, che modella il comportamento di un buco nero. In sostanza è un modellino, un sistema che si comporta in maniera analoga ai buchi neri. Le analogie in fisica sono sempre interessanti, ma non è detto che ciò che vale per il modellino, valga anche per i buchi neri.
L’UE stanzierà 1 miliardo di euro per le tecnologie quantistiche
La Commissione UE stanzierà, a partire dal 2018, 1 miliardo di euro per accelerare la ricerca sulle tecnologie quantistiche. Il programma di ricerca e sviluppo, proposto da Tommaso Calarco – presidente del Comitato strategico europeo per le tecnologie quantistiche e direttore del centro di Scienza e Tecnologia Quantistica delle università di Ulm e Stoccarda – potrebbe avere nei prossimi anni un ampio spettro di ricadute tecnologiche e industriali.
Per approfondire
– Lo spin e la risonanza magnetica (con formule)
– Un video brevissimo in inglese sulla risonanza magnetica
– I condensati di Bose-Einstein in Italia
Le particelle elementari e il Modello standard
Senza pretese di strafare, oggi parliamo delle particelle elementari. L’altra volta abbiamo visto cosa sono le particelle e cosa significa che si comportano come onde. Non è necessario aver letto la scorsa newsletter per capire quello che vi dico oggi, ma non fa male. Magari può essere utile rileggere quella sulle quattro forze fondamentali.
Di cosa parliamo oggi
– il Modello standard
– i fermioni
– le particelle mediatrici delle forze
– il bosone di Higgs
– i limiti del Modello
– pillole della settimana
Il Modello standard
L’altra volta abbiamo visto che le particelle sono divisibili in due gruppi. Le particelle più semplici, che non possono essere scomposte in altre particelle e che sono i costituenti primi della materia, sono chiamate particelle elementari. I loro composti invece sono dette particelle non elementari.
La teoria fisica che descrive il comportamento delle particelle elementari e dei loro composti si chiama Modello standard. Le particelle studiate dal Modello standard interagiscono tra di loro attraverso le quattro forze fondamentali della natura: la forza elettromagnetica, la forza debole, la forza forte e la forza gravitazionale. Tuttavia il Modello standard include solo tre di queste forze, trascurando la forza gravitazionale. Mi era già capitato di dirvi che la forza gravitazionale è diversa dalle altre – è molto più debole, è descritta dalla Relatività Generale in maniera un po’ originale e non ne sappiamo molto. Proprio per questi motivi i fisici non sono ancora riusciti a costruire una teoria che inglobi tutte e quattro le forze. Il Modello standard, dimenticandosi della forza gravitazionale, non è quindi compatibile con la Relatività Generale di Einstein. È però coerente con la Relatività Speciale, la parte della Teoria di Einstein che non tira in ballo la gravità.
Le particelle elementari
Le particelle elementari si dividono in due grandi gruppi: i fermioni e i bosoni. Non è possibile capire perché c’è questa suddivisione senza conoscere un po’ di meccanica quantistica, quindi oggi non ve lo spiego. Per ora basta sapere una cosa: i fermioni, nel Modello standard, sono i veri e propri costituenti della materia, i mattoncini con cui si formano le particelle non elementari. I bosoni invece sono particelle un po’ particolari e funzionano più o meno come una colla. Ah, poi c’è il bosone di Higgs.
I fermioni
Per conoscere tutte le particelle elementari del Modello standard direi di partire a osservarle facendo una specie di zoom. Immaginiamo di prendere un atomo di elio, quel gas che se respirato fa venire una voce da cartone animato. Si studia a scuola che l’atomo di elio è composto di tre tipi di particelle: due protoni, con carica elettrica positiva, due neutroni, neutri, e due elettroni, con carica elettrica negativa. Queste tre particelle sono tutte fermioni, ma solo una di queste è una particella elementare: l’elettrone, che non può essere scomposto in particelle più piccole. I protoni e i neutroni invece sono particelle non elementari e sono composte da particelle più piccole chiamate quark. Il nome quark fu preso da un passo del romanzo Finnegans Wake di James Joyce, in cui la parola “quarks” è una fusione dell’espressione “question marks”, che significa “punti di domanda”. Il nome è tutt’ora evocativo perché non è possibile osservare dei quark isolati, ma è possibile studiarli solamente quando sono uniti a formare altre particelle. Un’altra curiosità è che ci sono sei tipi di quark, ognuno con delle proprietà fisiche diverse, con dei nomi esotici che i fisici chiamano sapori: up, down, charm, strange top e bottom. Tutti i quark sono fermioni e tutti i fermioni che non sono quark sono chiamati leptoni. L’elettrone, ad esempio, è una particella elementare, un fermione, ma non è un quark. È quindi un leptone.
Nel corso degli anni, facendo collidere tra loro delle particelle o studiando le reazioni nucleari, sono stati scoperti altri leptoni: i muoni, i tauoni e i neutrini.
I muoni furono scoperti negli anni ’30 studiando i raggi cosmici: alcune particelle, attraversando un campo magnetico, deviavano la propria traiettoria in maniera strana. Curvavano meno degli elettroni, ma più dei protoni. Si immaginò che queste nuove particelle avessero la stessa carica elettrica degli elettroni, ma una massa diversa. Il mesone ha infatti una massa 200 volte più grande di quella dell’elettrone.
I tauoni furono scoperti negli anni ’70 in maniera indiretta, studiando alcuni fenomeni anomali. A queste particelle venne assegnata la lettera greca tau – da cui il nome italiano tauone – perché si trattava del terzo (τρίτον, in greco) leptone carico scoperto, dopo l’elettrone e il muone. Il tauone ha una massa 3500 volte più grande dell’elettrone.
I neutrini invece sono particelle molto particolari. Furono studiati negli anni ’30, ma scoperti solo a metà degli anni ’50. I neutrini non hanno carica elettrica e hanno una massa così piccola che per molto tempo si è sospettato che fossero senza massa. La massa del neutrino è circa 100 mila volte più piccola di quella dell’elettrone. A causa delle loro caratteristiche i neutrini sono molto difficili da rilevare: interagiscono poco con le altre particelle e, quando lo fanno, lo fanno molto debolmente. La scoperta che i neutrini hanno massa ha fatto guadagnare a Takaaki Kajita e ad Arthur B. McDonald il premio Nobel per la fisica 2016.
Le particelle mediatrici delle forze
Abbiamo detto che il Modello standard si occupa non solo di classificare le particelle, ma anche di spiegare come queste interagiscono tra loro tramite tre delle quattro forze fondamentali presenti in natura. Il Modello standard prevede che l’interazione tra i leptoni e tra i quark sia mediata dallo scambio di altre particelle, dette appunto particelle mediatrici delle forze. In parole povere, quando delle particelle interagiscono tra loro lo fanno scambiandosi delle particelle mediatrici. Le particelle mediatrici delle forze, chiamate in gergo tecnico bosoni di gauge, si occupano quindi di fare da tramite tra le altre particelle.
I bosoni di gauge sono appunto bosoni e sono di tre tipi. I fotoni – di cui abbiamo parlato nella scorsa newsletter – che sono responsabili della forza elettromagnetica. I gluoni, responsabili della forza nucleare forte e i bosoni W e Z, responsabili della forza nucleare debole.
Esiste poi un quarto tipo di bosone che è diventato in questi anni il più famoso: il bosone di Higgs.
Il bosone di Higgs
Il bosone di Higgs è una particella elementare che gioca un ruolo cruciale nel Modello standard. Attraverso un meccanismo particolare chiamato meccanismo di Higgs, si ritiene che sia il bosone di Higgs a conferire massa alle altre particelle.
Vedetela così: immaginate un campo pieno di neve e supponete di dover attraversarlo. Avete vari modi per attraversarlo: potete indossare degli scarponi, usare delle racchette da neve oppure degli sci. Chiaramente in base a cosa scegliete attraverserete il campo in modi diversi. Chi di voi prenderà gli scarponi sprofonderà nella neve, farà fatica a camminare e andrà molto lento. Chi indosserà le racchette sarà più agile, camminando senza sprofondare troppo nel campo di neve. Chi invece userà gli sci sfreccerà senza problemi sul manto nevoso. È proprio quello che succede alle particelle quando viaggiano nel campo di Higgs: alcune particelle sfrecceranno velocissime, senza interagire con il campo, come se indossassero gli sci. Sono le particelle senza massa – come ad esempio i fotoni, che viaggiano alla velocità della luce – o con una massa piccolissima – come ad esempio i neutrini, che viaggiano quasi alla velocità della luce. Altre particelle invece saranno più lente perché “sprofondano” nel campo di Higgs. Queste ultime sono le particelle con una grande massa, come ad esempio i muoni, i tauoni i protoni e i neutroni. Questo processo in cui il campo di Higgs rallenta alcune particelle – e non altre – dando loro della massa si chiama meccanismo di Higgs. In questa metafora il bosone di Higgs è il fiocco di neve, che fa interagire le particelle con il campo di Higgs.
Il bosone di Higgs è stato scoperto al CERN nel 2013. Stavolta il Nobel però è andato a Peter Higgs, che teorizzò l’esistenza di questa particella nel 1964.
I limiti del Modello standard
Nonostante i successi, il Modello standard – che viene continuamente utilizzato e confermato al CERN di Ginevra e in altri esperimenti – non è considerato una teoria completa.
Innanzitutto, come abbiamo detto, non è compatibile con la Relatività Generale perché non include la forza di gravità. In secondo luogo ha molti parametri liberi, che devono essere determinati per via sperimentale, ma che sono in qualche modo collegati tra loro: esiste quindi una relazione tra questi parametri non prevista dal Modello. Inoltre il modello standard non prevede che i neutrini abbiano una massa, ma ormai sappiamo che ce l’hanno.
Da molti anni i fisici stanno provando a superare queste difficoltà, ma non è un’impresa facile: le teorie sono molto complesse e la natura regala sempre fenomeni nuovi da tenere in considerazione.
Pillole della settimana
Alcune notizie di questi giorni, brevi.
Curiosity fa foto
Curiosity, la sonda NASA che si trova su Marte, ha scattato alcune foto ad alta definizione della sabbia marziana. Poi si è fatto un selfie. Trovate le nuove foto qui.
Il Falcon 9 è esploso, ancora
SpaceX è riuscito dopo cinque tentativi a mandare in orbita geostazionaria il satellite SES-9. Il lanciatore Falcon 9 ha poi provato ad atterrare su una chiatta nell’oceano, ma è esploso. Purtroppo il video è saltato durante l’impatto e non abbiamo immagini. Niente di preoccupante, comunque. Era un tentativo a bassa probabilità di successo e per il resto la missione è andata comunque molto bene.
Hubble ha fatto una vecchia foto
Il telescopio spaziale Hubble ha fotografato la galassia GN-z11, che si trova a 13,4 miliardi di anni luce da noi. GN-z11 è la più lontana galassia mai osservata e dunque è la più vecchia: la galassia non si presenta come è oggi, ma appare come era 13,4 miliardi di anni fa. Secondo le stime la vediamo così come appariva solo 400 milioni di anni dopo la nascita dell’universo. Trovate più informazioni qui.
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Per approfondire
– Il Modello standard, con delle infografiche
– Il video completo della missione SES-9 di SpaceX
– Un video in inglese sul Modello Standard
– Un’intervista a Peter Higgs, fatta nel 2012, in cui si racconta di come è nato il termine particella di dio
Che cosa fanno al CERN, il Big Bang, Hawking e Planet 9
Immagino che molti di voi si saranno chiesti almeno una volta che cosa facciano i fisici al CERN di Ginevra. Magari alcuni lo sanno, altri no. Visto che nelle scorse newsletter abbiamo introdotto alcuni concetti di fisica, oggi possiamo parlarne con un po’ più di consapevolezza.
Di cosa parliamo
– cosa fanno al CERN (e che c’entra con l’universo)
– pillole della settimana
Al CERN di Ginevra fanno foto
Il CERN, l’organizzazione europea per la ricerca nucleare, è il più grande laboratorio di fisica del mondo e si occupa di fisica delle particelle. Investigare il mondo delle particelle è molto importante perché aiuta a comprendere il comportamento delle forze fondamentali e la ricchezza di fenomeni fisici che ci offre la natura. Inoltre al CERN è possibile produrre artificialmente delle condizioni presenti solamente all’origine dell’universo ed eventi che oggi non sarebbero altrimenti visibili o che sono molto rari.
Quanto è grande
Il CERN è un centro di ricerca enorme. Coinvolge circa 15 mila dipendenti, per la maggior parte ricercatori, provenienti da decine di paesi diversi. Questo dato non tiene però conto delle centinaia di apprendisti e studenti che collaborano con l’ente nonché di tutti gli scienziati che, pur non essendo al CERN, partecipano direttamente alla ricerca nel settore. Il centro è finanziato da 21 paesi europei e utilizza ogni circa 1 miliardo di euro. L’Italia, che versa circa 130 milioni, è il quarto contributore.
Cos’è, essenzialmente
In sostanza il CERN è una fitta rete di acceleratori di particelle. Un acceleratore di particelle è quello che dice di essere: un qualcosa che prende delle particelle e le accelera a grandi velocità – velocità prossime alla velocità della luce, in questo caso.
Nulla può andare più veloce della luce e, addirittura, le particelle con massa non possono mai raggiungere la velocità della luce. Più ci si avvicina alla velocità della luce, infatti, più serve energia per accelerare le particelle. Per questo gli esperimenti fatti al CERN hanno richiesto così tanto tempo, ricerca e investimenti tecnologici. Serve tanta energia e una tecnologia sviluppata per mantenere stabile l’intero esperimento.
Come funziona
Un acceleratore di particelle funziona più o meno così. Si prendono delle particelle facili da reperire – come ad esempio dei protoni, che si ricavano partendo da delle semplici bombole di idrogeno. I protoni, che hanno carica positiva, vengono attirati da dei poli con carica negativa e dunque accelerano verso di loro. Quando sono vicini ai poli negativi e stanno per sbatterci, il polo negativo si spegne e se ne accende uno un po’ più in là, come in una specie di domino. I protoni quindi continuano ad accelerare percorrendo un tunnel, che è tenuto a bassissime temperature (circa -272 gradi) per evitare che il calore interferisca con le particelle.
Cosa c’è di speciale al CERN che non c’è da altre parti
Ovviamente le particelle possono accelerare fino a quando non finisce il tunnel. Per riuscire a raggiungere velocità altissime è stato quindi creata una fitta rete di tunnel, alcuni dei quali circolari, dentro ai quali le particelle possono continuare a girare e ad essere accelerate. Il più grande acceleratore – e anche il più recente e famoso, – si chiama LHC. È circolare ed è lungo 27 Km.
E una volta accelerate?
L’obiettivo degli esperimenti è di far scontrare tra loro delle particelle e di vedere cosa accade. Durante uno scontro tra particelle, infatti, queste possono spezzarsi in più parti oppure unirsi tra loro. Insomma, possono nascere delle nuove particelle secondo le regole dettate dalla natura. Quando diciamo che le particelle si “scontrano”, significa più precisamente che le particelle arrivano molto vicine le une alle altre e interagiscono attraverso una o più delle quattro forze fondamentali di cui abbiamo parlato nella scorsa newsletter.
Per generare le collisioni, nei tunnel viaggiano quindi due fasci di particelle, uno in un senso, uno nell’altro, che si scontrano in alcuni punti. In corrispondenza di questi punti ci sono dei rilevatori, che sono delle enormi “macchine fotografiche” in grado di rilevare le particelle create e analizzarne alcune proprietà fisiche. CMS, ATLAS, ALICE e LHCb sono i rilevatori più famosi. Per farvi capire quanto sono grandi i rilevatori, questo è CMS.
Nell’animazione vedete una simulazione di come i rilevatori scattano le “foto” tracciando la traiettoria delle particelle che si creano.
Perché al CERN accelerano così tanto le particelle
I protoni sono particelle facili da reperire e tutto sommato leggere. Certo, molte particelle sono molto più leggere del protone, le si trovano anche facendo collidere i protoni a basse velocità e infatti le conosciamo da tempo. L’elettrone o i neutrini ne sono un esempio. Altre particelle però, soprattutto alcune particelle mediatrici delle forze – ne parleremo – sono molto più pesanti. Come è possibile, facendo scontrare due protoni “leggeri”, ottenere delle particelle molto più pesanti? D’altronde, come abbiamo studiato a scuola, nulla si crea e nulla si distrugge: in un incidente tra due motorini non ci aspettiamo certo di veder apparire il rottame di un camion, giusto?
Tuttavia Einstein ci ha insegnato che la massa si può trasformare in energia e viceversa. È la famosissima – e molto fraintesa – formula E=mc2, dove E è l’energia di un corpo, m la sua massa relativistica e c è la velocità della luce (Bonus per i puristi: quella m è appunto la massa relativistica ed equivale alla massa del corpo come è comunemente intesa solo se il corpo è fermo. Se invece il corpo si muove la formula è un po’ più complicata).
L’idea è dunque questa. Prendiamo delle particelle “leggere” e acceleriamole ad altissime velocità. Esse acquistano una grande energia E, che permette, trasformando l’energia in massa durante le collisioni, di far comparire particelle con una massa m maggiore di quella di partenza.
C’è poi un altro motivo per accelerare le particelle e, paradossalmente, funziona al contrario. Come detto alcune particelle sono molto più leggere del protone e molto più piccole. Alcune di queste sono dunque particelle sfuggenti che non si vedono quasi o proprio mai. Per vedere queste particelle bisogna farle interagire con qualcosa delle loro dimensioni. Una zanzara che sbatte contro un camion non si nota, siete d’accordo? Per la meccanica quantistica e in particolare per la legge di De Broglie, per interagire con una particella molto piccola bisogna utilizzare delle particelle a velocità molto grande (servirebbero due formulette e qualche nozione di meccanica quantistica per convincersi. Voi vi fidate, ok?). In questo caso, quindi, più si accelerano i protoni più è facile vederli interagire con delle particelle piccole. L’acceleratore funziona perciò come un “microscopio” potentissimo.
Ecco perché in questi anni l’energia di LHC è stata gradualmente innalzata fino quasi al massimo, 13 TeV (più di 49miliardi di kcal). In questo modo è stato possibile vedere particelle molto sfuggenti e “crearne” altre molto pesanti, come ad esempio il Bosone di Higgs – qualsiasi cosa sia, come al solito.
Cosa c’entra con l’universo
Come abbiamo detto, al CERN è possibile studiare particelle molto piccole o molto sfuggenti creando artificialmente le condizioni per renderle visibili. Sono condizioni così estreme che erano presenti in natura all’origine dell’universo, pochissimo tempo dopo il Big Bang (cos’è?). Studiare i fenomeni fisici in queste condizioni, quindi, ci permette di comprendere i processi che hanno dato origine all’universo come lo conosciamo oggi.
Inoltre alcuni rilevatori sono stati creati proprio per rispondere a certe domande che riguardano la natura dell’universo. LHCb, ad esempio, si occupa di capire – studiando delle reazioni molto particolari – perché nell’universo c’è molta più materia che antimateria (tranquilli, ne parleremo).
Pillole
Alcune notizie di questi giorni, brevi.
A proposito di Big Bang
È stata proposta da alcuni fisici una nuova teoria sull’evoluzione dell’universo. L’ipotesi è che l’inflazione, il rapido processo di espansione dell’universo che seguì il Big Bang, sia avvenuto in due fasi, anziché in una sola. Un approfondimento alla portata di tutti si trova qui.
Che si dice di Hawking
Trovate questi giorni un po’ ovunque la notizia che il fisico Stephen Hawking avrebbe risolto un problema riguardante i buchi neri chiamato paradosso dell’informazione. È una questione piuttosto tecnica, difficile da spiegare in parole povere a meno di banalizzarla. Magari un giorno ci proviamo (per ora rimando alle note). Hawking è indubbiamente un genio, ma faccio notare che è la quarta volta che propone una soluzione a questo paradosso.
Non ho una particolare opinione a proposito di quest’ultimo articolo di Hawking – anche perché devo ancora leggerlo – ma il processo di santificazione a cui vanno incontro gli scienziati quando diventano famosi è un problema di non poco conto per l’intera comunità scientifica: capita spesso che le opinioni di alcune menti geniali vengano ritenute vere a prescindere. Ma anche i grandi sbagliano. Einstein, per dire, non credeva alla meccanica quantistica. Eppure oggi tutti i fisici la ritengono una teoria scientifica piuttosto solida. Quando si leggono notizie come queste bisogna sempre ricordare che una proposta non diventa automaticamente una verità, indipendentemente da chi la formula.
SpaceX, kaboom
Domenica scorsa il lanciatore Falcon 9 di SpaceX, già usato nella missione Orbcomm-2, ha mandato in orbita con successo il satellite Jason 3. È la prima volta che un lanciatore viene usato con successo in due missioni spaziali. Questa volta il rientro verticale del Falcon 9 non era previsto sulla terraferma, ma su una chiatta in mezzo all’oceano. Il razzo ha centrato la chiatta, atterrando verticalmente. Poi però una gamba si è rotta ed è esploso (qui il video con audio).
Un nuovo pianeta nel Sistema Solare?
Uno articolo pubblicato ieri sostiene di aver provato, grazie allo studio delle orbite di alcuni oggetti nella fascia di Kuiper – una zona remota del Sistema Solare oltre il pianeta Nettuno – l’esistenza di un nono pianeta con 10 volte la massa della Terra. A differenza di quello che dice Repubblica, il pianeta non è stato “scoperto”. Un articolo scientifico ne sostiene l’esistenza, ma ora spetta agli astronomi trovarlo, se c’è. Come già detto, una proposta non diventa automaticamente una verità.
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Per approfondire
– La fisica delle particelle spiegata a una pulce di Marco DelMastro
– Un video che dà l’idea della complessità del CERN
– Le “foto” fatte dal rilevatore CMS al CERN
– Il modello Standard delle particelle elementari
– Il paradosso dell’informazione, su Wikipedia