Le particelle elementari e il Modello standard
Senza pretese di strafare, oggi parliamo delle particelle elementari. L’altra volta abbiamo visto cosa sono le particelle e cosa significa che si comportano come onde. Non è necessario aver letto la scorsa newsletter per capire quello che vi dico oggi, ma non fa male. Magari può essere utile rileggere quella sulle quattro forze fondamentali.
Di cosa parliamo oggi
– il Modello standard
– i fermioni
– le particelle mediatrici delle forze
– il bosone di Higgs
– i limiti del Modello
– pillole della settimana
Il Modello standard
L’altra volta abbiamo visto che le particelle sono divisibili in due gruppi. Le particelle più semplici, che non possono essere scomposte in altre particelle e che sono i costituenti primi della materia, sono chiamate particelle elementari. I loro composti invece sono dette particelle non elementari.
La teoria fisica che descrive il comportamento delle particelle elementari e dei loro composti si chiama Modello standard. Le particelle studiate dal Modello standard interagiscono tra di loro attraverso le quattro forze fondamentali della natura: la forza elettromagnetica, la forza debole, la forza forte e la forza gravitazionale. Tuttavia il Modello standard include solo tre di queste forze, trascurando la forza gravitazionale. Mi era già capitato di dirvi che la forza gravitazionale è diversa dalle altre – è molto più debole, è descritta dalla Relatività Generale in maniera un po’ originale e non ne sappiamo molto. Proprio per questi motivi i fisici non sono ancora riusciti a costruire una teoria che inglobi tutte e quattro le forze. Il Modello standard, dimenticandosi della forza gravitazionale, non è quindi compatibile con la Relatività Generale di Einstein. È però coerente con la Relatività Speciale, la parte della Teoria di Einstein che non tira in ballo la gravità.
Le particelle elementari
Le particelle elementari si dividono in due grandi gruppi: i fermioni e i bosoni. Non è possibile capire perché c’è questa suddivisione senza conoscere un po’ di meccanica quantistica, quindi oggi non ve lo spiego. Per ora basta sapere una cosa: i fermioni, nel Modello standard, sono i veri e propri costituenti della materia, i mattoncini con cui si formano le particelle non elementari. I bosoni invece sono particelle un po’ particolari e funzionano più o meno come una colla. Ah, poi c’è il bosone di Higgs.
I fermioni
Per conoscere tutte le particelle elementari del Modello standard direi di partire a osservarle facendo una specie di zoom. Immaginiamo di prendere un atomo di elio, quel gas che se respirato fa venire una voce da cartone animato. Si studia a scuola che l’atomo di elio è composto di tre tipi di particelle: due protoni, con carica elettrica positiva, due neutroni, neutri, e due elettroni, con carica elettrica negativa. Queste tre particelle sono tutte fermioni, ma solo una di queste è una particella elementare: l’elettrone, che non può essere scomposto in particelle più piccole. I protoni e i neutroni invece sono particelle non elementari e sono composte da particelle più piccole chiamate quark. Il nome quark fu preso da un passo del romanzo Finnegans Wake di James Joyce, in cui la parola “quarks” è una fusione dell’espressione “question marks”, che significa “punti di domanda”. Il nome è tutt’ora evocativo perché non è possibile osservare dei quark isolati, ma è possibile studiarli solamente quando sono uniti a formare altre particelle. Un’altra curiosità è che ci sono sei tipi di quark, ognuno con delle proprietà fisiche diverse, con dei nomi esotici che i fisici chiamano sapori: up, down, charm, strange top e bottom. Tutti i quark sono fermioni e tutti i fermioni che non sono quark sono chiamati leptoni. L’elettrone, ad esempio, è una particella elementare, un fermione, ma non è un quark. È quindi un leptone.
Nel corso degli anni, facendo collidere tra loro delle particelle o studiando le reazioni nucleari, sono stati scoperti altri leptoni: i muoni, i tauoni e i neutrini.
I muoni furono scoperti negli anni ’30 studiando i raggi cosmici: alcune particelle, attraversando un campo magnetico, deviavano la propria traiettoria in maniera strana. Curvavano meno degli elettroni, ma più dei protoni. Si immaginò che queste nuove particelle avessero la stessa carica elettrica degli elettroni, ma una massa diversa. Il mesone ha infatti una massa 200 volte più grande di quella dell’elettrone.
I tauoni furono scoperti negli anni ’70 in maniera indiretta, studiando alcuni fenomeni anomali. A queste particelle venne assegnata la lettera greca tau – da cui il nome italiano tauone – perché si trattava del terzo (τρίτον, in greco) leptone carico scoperto, dopo l’elettrone e il muone. Il tauone ha una massa 3500 volte più grande dell’elettrone.
I neutrini invece sono particelle molto particolari. Furono studiati negli anni ’30, ma scoperti solo a metà degli anni ’50. I neutrini non hanno carica elettrica e hanno una massa così piccola che per molto tempo si è sospettato che fossero senza massa. La massa del neutrino è circa 100 mila volte più piccola di quella dell’elettrone. A causa delle loro caratteristiche i neutrini sono molto difficili da rilevare: interagiscono poco con le altre particelle e, quando lo fanno, lo fanno molto debolmente. La scoperta che i neutrini hanno massa ha fatto guadagnare a Takaaki Kajita e ad Arthur B. McDonald il premio Nobel per la fisica 2016.
Le particelle mediatrici delle forze
Abbiamo detto che il Modello standard si occupa non solo di classificare le particelle, ma anche di spiegare come queste interagiscono tra loro tramite tre delle quattro forze fondamentali presenti in natura. Il Modello standard prevede che l’interazione tra i leptoni e tra i quark sia mediata dallo scambio di altre particelle, dette appunto particelle mediatrici delle forze. In parole povere, quando delle particelle interagiscono tra loro lo fanno scambiandosi delle particelle mediatrici. Le particelle mediatrici delle forze, chiamate in gergo tecnico bosoni di gauge, si occupano quindi di fare da tramite tra le altre particelle.
I bosoni di gauge sono appunto bosoni e sono di tre tipi. I fotoni – di cui abbiamo parlato nella scorsa newsletter – che sono responsabili della forza elettromagnetica. I gluoni, responsabili della forza nucleare forte e i bosoni W e Z, responsabili della forza nucleare debole.
Esiste poi un quarto tipo di bosone che è diventato in questi anni il più famoso: il bosone di Higgs.
Il bosone di Higgs
Il bosone di Higgs è una particella elementare che gioca un ruolo cruciale nel Modello standard. Attraverso un meccanismo particolare chiamato meccanismo di Higgs, si ritiene che sia il bosone di Higgs a conferire massa alle altre particelle.
Vedetela così: immaginate un campo pieno di neve e supponete di dover attraversarlo. Avete vari modi per attraversarlo: potete indossare degli scarponi, usare delle racchette da neve oppure degli sci. Chiaramente in base a cosa scegliete attraverserete il campo in modi diversi. Chi di voi prenderà gli scarponi sprofonderà nella neve, farà fatica a camminare e andrà molto lento. Chi indosserà le racchette sarà più agile, camminando senza sprofondare troppo nel campo di neve. Chi invece userà gli sci sfreccerà senza problemi sul manto nevoso. È proprio quello che succede alle particelle quando viaggiano nel campo di Higgs: alcune particelle sfrecceranno velocissime, senza interagire con il campo, come se indossassero gli sci. Sono le particelle senza massa – come ad esempio i fotoni, che viaggiano alla velocità della luce – o con una massa piccolissima – come ad esempio i neutrini, che viaggiano quasi alla velocità della luce. Altre particelle invece saranno più lente perché “sprofondano” nel campo di Higgs. Queste ultime sono le particelle con una grande massa, come ad esempio i muoni, i tauoni i protoni e i neutroni. Questo processo in cui il campo di Higgs rallenta alcune particelle – e non altre – dando loro della massa si chiama meccanismo di Higgs. In questa metafora il bosone di Higgs è il fiocco di neve, che fa interagire le particelle con il campo di Higgs.
Il bosone di Higgs è stato scoperto al CERN nel 2013. Stavolta il Nobel però è andato a Peter Higgs, che teorizzò l’esistenza di questa particella nel 1964.
I limiti del Modello standard
Nonostante i successi, il Modello standard – che viene continuamente utilizzato e confermato al CERN di Ginevra e in altri esperimenti – non è considerato una teoria completa.
Innanzitutto, come abbiamo detto, non è compatibile con la Relatività Generale perché non include la forza di gravità. In secondo luogo ha molti parametri liberi, che devono essere determinati per via sperimentale, ma che sono in qualche modo collegati tra loro: esiste quindi una relazione tra questi parametri non prevista dal Modello. Inoltre il modello standard non prevede che i neutrini abbiano una massa, ma ormai sappiamo che ce l’hanno.
Da molti anni i fisici stanno provando a superare queste difficoltà, ma non è un’impresa facile: le teorie sono molto complesse e la natura regala sempre fenomeni nuovi da tenere in considerazione.
Pillole della settimana
Alcune notizie di questi giorni, brevi.
Curiosity fa foto
Curiosity, la sonda NASA che si trova su Marte, ha scattato alcune foto ad alta definizione della sabbia marziana. Poi si è fatto un selfie. Trovate le nuove foto qui.
Il Falcon 9 è esploso, ancora
SpaceX è riuscito dopo cinque tentativi a mandare in orbita geostazionaria il satellite SES-9. Il lanciatore Falcon 9 ha poi provato ad atterrare su una chiatta nell’oceano, ma è esploso. Purtroppo il video è saltato durante l’impatto e non abbiamo immagini. Niente di preoccupante, comunque. Era un tentativo a bassa probabilità di successo e per il resto la missione è andata comunque molto bene.
Hubble ha fatto una vecchia foto
Il telescopio spaziale Hubble ha fotografato la galassia GN-z11, che si trova a 13,4 miliardi di anni luce da noi. GN-z11 è la più lontana galassia mai osservata e dunque è la più vecchia: la galassia non si presenta come è oggi, ma appare come era 13,4 miliardi di anni fa. Secondo le stime la vediamo così come appariva solo 400 milioni di anni dopo la nascita dell’universo. Trovate più informazioni qui.
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Per approfondire
– Il Modello standard, con delle infografiche
– Il video completo della missione SES-9 di SpaceX
– Un video in inglese sul Modello Standard
– Un’intervista a Peter Higgs, fatta nel 2012, in cui si racconta di come è nato il termine particella di dio
La dualità onda particella
Per affrontare l’argomento di oggi dovete abbandonare molti pregiudizi. Il modo in cui leggiamo il mondo è basato sulla nostra esperienza, ma, come abbiamo visto parlando della Relatività, l’esperienza può indurci a trarre conclusioni errate su come funziona la natura.
Cercate di fidarvi di quello che vi dico e, se alcune cose vi sembreranno assurde, mantenete una mente aperta e curiosa: è la natura che vi sfida, non io.
Di cosa parliamo oggi
– cosa sono le particelle
– le onde elettromagnetiche
– il fotone
– la dualità onda particella
– pillole della settimana
Cosa sono le particelle, a spanne
Da qualche secolo l’uomo si è convinto che la materia sia composta di piccole particelle. La convinzione nasce da un’idea semplice: cosa accade se continuiamo a tagliare un oggetto a metà? È ragionevole pensare che, prima o poi, non sia più possibile dividerlo, che esista un granello fondamentale indivisibile, un costituente primo della materia. Questa idea molto ragionevole, però, da sola non va molto lontano, perché non ci dice la natura di quel granello – cos’è e come è fatto. Esistono granelli diversi per ogni cosa? I granelli che, uniti, compongono un mattone sono uguali a quelli che compongono l’acqua o il nostro corpo?
Il filosofo greco Democrito (460 a.C) pensava che i granelli fondamentali, che lui chiamava atomi (àtomos = indivisibile), differissero tra loro solo per dimensione e forma e che si muovessero colpendosi a vicenda e combinandosi in varie configurazioni.
Sappiamo oggi che la materia è composta effettivamente di atomi e che questi differiscono tra loro per dimensione, forma e altre proprietà fisiche. Sappiamo anche che gli atomi, combinandosi tra loro, formano delle molecole e che le molecole creano i materiali più disparati, dalla grafite all’acqua, dal poliestere allo zucchero di canna. L’idea di Democrito era insomma buona, ma è rimasta sopita per duemila anni, in attesa che si trovasse un modo per studiarla con concretezza attraverso i principi della chimica.
Però la storia non finisce qua. Abbiamo anche scoperto che gli atomi non sono poi così “indivisibili”, ma sono formati da granelli più piccoli, chiamati protoni, neutroni e elettroni, e che i protoni e i neutroni a loro volta sono formati da altri granelli detti quark. Al giorno d’oggi chiamiamo tutti questi granelli particelle e li classifichiamo in due gruppi. Le particelle più semplici, che secondo le nostre conoscenze non sono formate da parti più piccole, le chiamiamo particelle elementari. Un esempio di queste particelle sono i quark. Le loro combinazioni – come ad esempio i protoni, i neutroni, gli atomi o le molecole, – sono chiamate invece particelle non elementari.
Ora però saltiamo di palo in frasca e parliamo di onde elettromagnetiche. Dopo vi spiego perché.
Le onde elettromagnetiche
Le onde sono delle perturbazioni che partono da una sorgente e si propagano nel tempo e nello spazio, trasportando energia. Molte cose in natura si comportano come onde: le increspature sull’acqua quando gettiamo un sasso – gli tsunami ad esempio sono onde che trasportano tantissima energia e sono in grado di distruggere chilometri di costa, – le scosse sismiche di un terremoto, il suono che si propaga nell’aria e che, alla giusta frequenza, può rompere un bicchiere.
Certo, non tutte le onde sono uguali. Alcune onde oscillano in un modo, altre in un altro, alcune hanno bisogno di un mezzo in cui propagarsi, altre invece possono viaggiare anche nel vuoto.
Anche la luce si comporta come un onda. Anzi, non solo la luce che vediamo. Tutti i fenomeni elettromagnetici, come le microonde, gli infrarossi, i segnali radio, i raggi X e quelli ultravioletti, si propagano come delle onde e trasportano energia. La natura ondulatoria della luce è un dato di fatto sin dall’Ottocento ed è stata scoperta studiando le figure di interferenza di cui abbiamo parlato tempo fa. Quando infatti due onde si incrociano, si sommano o si cancellano a vicenda dando origine a delle forme particolari con dei picchi – dove le creste delle onde si sommano – e delle conche, come in questa animazione.
E questo accade anche alla luce. Supponiamo di puntare una torcia verso una parete in cui è stato fatto un piccolo foro. Cosa accade su uno schermo posto dall’altra parte della parete? Come immaginate apparirà un piccolo puntino luminoso, come questo.
Se però facciamo due fori molto vicini l’uno all’altro cosa ci aspettiamo di vedere? L’intuito ci induce a pensare che vedremmo due puntini luminosi in corrispondenza dei due fori.
Invece non è così. Se la luce passa attraverso due fori si forma una figura di interferenza, come quella qui sotto.
Come è possibile? La spiegazione per questa figura è che la luce non si comporta come una freccia che viaggia dritta, ma come un’onda. Arrivata alle fenditure si propaga in maniera ondulatoria in tutte le direzioni e, come nell’animazione di prima, le increspature si combinano creando dei picchi e delle conche sullo schermo, ossia delle zone illuminate e delle zone d’ombra. Questa volta non si tratta di onde del mare, ma di onde di luce.
La luce, quindi, e tutti gli altri segnali elettromagnetici, hanno una natura ondulatoria. Le chiamiamo infatti onde elettromagnetiche e, chiaramente, trasportano energia. La luce del Sole scalda, no?
Il fotone
Nell’Ottocento fu studiato un nuovo fenomeno fisico che venne chiamato effetto fotoelettrico: una superficie metallica colpita da radiazione elettromagnetica acquistava una carica elettrica positiva. Più si aumentava l’energia della radiazione elettromagnetica, più il metallo si caricava positivamente. Era evidente cosa accadeva: la radiazione elettromagnetica trasferiva energia al metallo e gli permetteva di acquistare una carica elettrica. Ma la cosa interessante è che questa carica non si accumulava in maniera continua man mano che si aumentava l’energia della radiazione elettromagnetica. Il processo di carica avveniva a scalini, a scatti. Incrementando lentamente l’energia non accadeva nulla fino a quando, tutto a un tratto, la carica del metallo aumentava di un po’.
Questo strano comportamento a scalini fu studiato per qualche tempo, e un giorno Einstein trovò una spiegazione. Suggerì che l’energia venisse trasferita dalla radiazione elettromagnetica al metallo non in maniera continua, ma discreta, come se fosse spezzettata in tanti piccoli pacchetti. Chiamò questi pacchetti di energia quanti, dando così il via, tra lo scetticismo della comunità scientifica, a quella che divenne poi la Meccanica quantistica.
Ancora più sorprendente fu però quello che scoprì Compton qualche anno dopo: i quanti suggeriti da Einstein sembravano comportarsi come vere e proprie particelle e non avevano massa. Potevano scontrarsi con le altre particelle, un po’ come le bilie si scontrano sul biliardo, e si potevano contare.
La luce quindi, che fino a quel momento era considerata un fenomeno ondulatorio, aveva anche una natura corpuscolare: era composta di piccole particelle, i quanti, che vennero poi chiamati fotoni.
La dualità onda particella
Ma allora la luce è un’onda o è fatta di particelle? Entrambe. I fenomeni elettromagnetici si comportano sia come onde che come particelle, in base a come li osserviamo. Nell’esperimento del doppio foro la luce mostra la sua natura ondulatoria, mentre nell’esperimento di Compton mostra quella corpuscolare.
Che succede se proviamo però a fare l’esperimento del doppio foro con delle altre particelle, ad esempio con gli elettroni?
Immaginiamo di sparare un elettrone alla volta verso due fenditure, creando un bivio che permetta agli elettroni di andare o in un fenditura o nell’altra. Ci aspettiamo chiaramente che l’elettrone – che per noi è essenzialmente un granello, una pallina minuscola, – passi in una delle due fenditure in maniera casuale. Non dovremmo quindi vedere alcuna figura di interferenza: dopo aver sparato tanti elettroni, questi si dovrebbero accumulare in due punti sullo schermo, metà in corrispondenza di un fenditura, metà in corrispondenza dell’altra.
Tenetevi forte. Non è quello che accade.
Gli elettroni, anche se vengono sparati uno alla volta, si dispongono sullo schermo in modo da creare pian piano una figura di interferenza. Qui trovate il video di un esperimento fatto con gli elettroni.
Perché gli elettroni si dispongono in questa maniera, anziché creare due righe in corrispondenza delle fenditure? L’unica spiegazione è che l’elettrone in questo caso non si comporti come una pallina, ma come un’onda. Arrivato in prossimità delle due fenditure, anziché scegliere uno dei due percorsi, passa attraverso entrambe e fa interferenza con se stesso, andando a disporsi sullo schermo in un punto della figura di interferenza. È esattamente quello che fanno i fotoni della luce, solo che quando spariamo un raggio luminoso i fotoni viaggiano molto vicini e non ci accorgiamo di come, uno alla volta, si dispongono sullo schermo.
Per capire meglio cosa accade bisognerebbe avere alcune nozioni di Meccanica quantistica, di cui non ho parlato, ma per ora è sufficiente ricordare questo: anche gli elettroni, come i fotoni, a volte si comportano come onde.
E non solo gli elettroni. Secondo la fisica tutte le particelle hanno una natura corpuscolare e una ondulatoria. Si comportano quindi come corpuscoli o come onde in base a come le si studia. Questo fenomeno è chiamato dualità onda particella.
Sembra un paradosso, lo so, ma il dualismo onda particella è un principio cardine della fisica moderna. La natura ci dà spesso lezioni di umiltà e ci spinge ad abbandonare i nostri pregiudizi sul mondo. Questo è uno di quelli più difficili da accettare.
Pillole della settimana
Alcune notizie di questi giorni, brevi.
Scott Kelly è tornato
Gli astronauti Scott Kelly e Mikhail Kornienko sono tornati sani e salvi sulla Terra dopo un anno vissuto sulla ISS, nello spazio. Ora i cambiamenti del corpo di Scott verranno studiati confrontandolo con suo fratello gemello Mark, che era rimasto sulla Terra. Curiosità: a causa della Teoria della Relatività – sulla ISS il tempo scorre più lentamente che sulla Terra – Scott è ora 10 millisecondi più giovane del suo gemello.
SpaceX è sfortunata
SpaceX ha provato per cinque volte a mandare in orbita il satellite SES-9 con il suo Falcon 9 e per cinque volte il lancio è stato annullato. Durante la missione è previsto anche il rientro del lanciatore Falcon 9 su una chiatta nell’oceano. Due lanci sono stati annullati per problemi del propellente e in un caso il lancio è stato sospeso perché una nave è entrata involontariamente nell’area di sicurezza intorno alla chiatta. Il rientro del lanciatore sarà comunque molto difficile perché SES-9 deve raggiungere un’orbita geostazionaria, che è molto in quota, e quindi rimarrà poco carburante per manovrare il lanciatore durante le fasi di rientro. Un nuovo tentativo è previsto domani.
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Per approfondire
– La dualità onda particella, in sette minuti
– L’esperimento degli elettroni, spiegato
– L’effetto Compton, spiegato
– Perché SpaceX annulla così spesso i lanci (inglese)