La radiazione di corpo nero
Ciao! Per gli appassionati di astronomia e per quelli a cui piacciono le stelle, oggi parliamo della radiazione di corpo nero. Può essere utile, per chi non è esperto, rileggere la scorsa newsletter sul redshift, almeno la parte in cui abbiamo parlato della frequenza.
Alcuni di voi si sono poi accorti che nella scorsa newsletter ho detto un’inesattezza. A un certo punto, parlando delle onde, ho scritto “Tutto ciò che possiamo sapere della volta celeste è infatti legato a quello che possiamo vedere con i nostri occhi e con […] le antenne o i telescopi. Ma […] si tratta sempre di onde elettromagnetiche”. Ecco, no. Ora ci sono anche le onde gravitazionali. Ne abbiamo parlato abbondantemente qui, qui e qui. Non sapevo se aggiungerlo o meno, ma poi avevo deciso di no per non complicare il discorso. Ovviamente mi avete beccato.
Anche oggi c’è la vignetta di Ale – in fondo – e, come annunciato, ecco la prima puntata di Storie, il podcast in cui intervisto dei giovani ricercatori. È una cosa nuova e si può migliorare: aspetto i vostri suggerimenti. Oggi è la volta di Francesco Segatta, dell’Università di Bologna, che ci parla dell’occhio: perché vediamo a colori?
Prima di cominciare vi ricordo che dal 24 al 30 settembre sarà la settimana della scienza. In molte città d’Italia si svolgeranno incontri, laboratori e visite guidate per ogni fascia d’età. Un elenco delle attività, delle istituzioni e delle città coinvolte lo trovate qui. Io sarò a Pavia, se qualcuno volesse venire.
Per impressioni e domande la mail è sempre spacebreak [at] francescobussola.it.
Di cosa parliamo oggi
– le stelle
– il corpo nero
– la radiazione di corpo nero
– pillole
Le stelle brillano
Uno dei principali obiettivi dell’astronomia e dell’astrofisica è quello di classificare gli oggetti celesti e capirne la dinamica – come il loro moto o la loro evoluzione – per poi studiare l’origine e, da ultimo, l’origine dell’universo. È un compito difficile. Richiede pazienza, osservazione, una tecnologia sempre più raffinata, una grande dose di immaginazione e diversi modelli teorici da poter confrontare con le misurazioni sperimentali.
Delle stelle, ad esempio, abbiamo imparato molto. Sappiamo che brillano di luce propria perché “bruciano”, ossia perché al loro interno avvengono delle reazioni nucleari che emettono una grande quantità di energia sotto forma di calore e radiazioni, sappiamo che non tutte le stelle hanno la stessa massa e, ancora più importante, che hanno temperature superficiali diverse e età diverse.
Ma come sappiamo tutto ciò? Una gran parte di queste informazioni le possiamo ricavare analizzando la luce emessa dalle stelle o, più correttamente, analizzando i segnali elettromagnetici che emettono: non solo la luce visibile, quindi, ma anche le onde radio, le microonde, gli infrarossi, gli ultravioletti, i raggi X e i raggi gamma. Tutti questi segnali sono onde elettromagnetiche e viaggiano alla velocità della luce, ma hanno frequenze diverse. È il motivo per cui il nostro occhio vede la luce visibile, ma non gli altri segnali: riusciamo a percepire solo quelle frequenze (cos’è la frequenza?).
Il corpo nero
Per poter studiare i segnali emessi dalle stelle, però, è necessario avere un modello di confronto che permetta di collegare ciò che misuriamo – attraverso le antenne e i telescopi – con delle proprietà macroscopiche, come ad esempio la temperatura superficiale.
Quello che possiamo misurare, in sostanza, è l’intensità dei segnali elettromagnetici emessi dalla stella: ci sono stelle che emettono principalmente raggi ultravioletti, altre che hanno un picco di emissione negli infrarossi e così via. Ad ogni frequenza la stella emette con un’intensità diversa e questo andamento è chiamato spettro di emissione.
Il modello che usiamo per mimare lo spettro di emissione delle stelle è il cosiddetto corpo nero.
Un corpo nero in fisica è quello che dice di essere: un corpo completamente nero che assorbe tutta la radiazione elettromagnetica che lo colpisce, senza rifletterla, per poi emetterla nuovamente sotto forma di radiazione termica (ne avevamo già parlato qui). Un corpo nero è ovviamente un oggetto ideale – ogni materiale riflette un po’ la luce – ma si è dimostrato uno strumento efficace per studiare i fenomeni elettromagnetici, in particolare gli spettri di emissioni degli oggetti celesti. La particolarità più importante del corpo nero è che l’energia riemessa, chiamata radiazione di corpo nero, dipende solo dalla sua temperatura ed è indipendente dalla forma o dal materiale di cui è costituito.
La radiazione di corpo nero
Ciò che si può notare, studiando la radiazione emessa dalle stelle, è che il loro spettro di emissione è analogo allo spettro della radiazione di corpo nero. In parole povere, questo significa che la radiazione di corpo nero può essere usata come modello per studiare lo spettro di emissione delle stelle: più cose impariamo sui corpi neri, più cose impariamo sugli oggetti celesti.
Un corpo nero lo si può simulare utilizzando una fornace riscaldata a una certa temperatura. La luce che entra nella fornace rimane intrappolata – e questo simula l’assorbimento totale senza riflessione – per poi essere riemessa sotto forma di radiazione termica – e questo simula lo spettro di emissione.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento i fisici stavano cercando una formula matematica per descrivere lo spettro di radiazione di corpo nero. Si avvalevano, allora, delle leggi dell’elettromagnetismo di Maxwell e delle leggi della termodinamica classica.
Un primo tentativo fu fatto dal fisico tedesco Wilhelm Wien, che, utilizzando le leggi dei gas, riuscì a riprodurre l’andamento della curva di corpo nero. La curva, che è poi lo spettro di cui abbiamo parlato, aveva un massimo di emissione, come ci si aspettava, ma non era in accordo con i dati sperimentali a basse frequenze.
Un secondo tentativo fu fatto dagli inglesi Rayleigh e Jeans. La loro curva, ricavata attraverso le leggi dell’elettromagnetismo, era in accordo coni dati sperimentali a basse frequenze, ma falliva clamorosamente ad alte frequenze: non solo non riproduceva i dati, ma non prediceva nemmeno l’esistenza di un massimo di emissione. Se le cose fossero state così, ad alte frequenze ci sarebbe stata un’emissione infinita di energia.
Lo strano andamento della curva di Rayleigh e Jeans, prese per questo motivo il nome evocativo di catastrofe ultravioletta.
Nel grafico qui sotto potete vedere le curve di Wien e Rayleigh-Jeans confrontate con l’andamento dei dati sperimentali. La frequenza diminuisce da sinistra a destra, mentre sulla verticale c’è la potenza emessa.
Il fallimento della termodinamica, ma soprattutto dell’elettromagnetismo, nel descrivere lo spettro di radiazione di corpo nero, fu uno dei primi segnali che portò a mettere in discussione la fisica classica. La soluzione a questo problema, infatti, risiedeva nelle leggi della Meccanica quantistica (che cos’è la Meccanica quantistica?) e fu proposta dal fisico tedesco Max Planck.
Secondo Planck, la radiazione non viene emessa dal corpo nero in maniera continua, ma è suddivisa in piccoli pacchetti di energia – i famosi quanti (da cui Meccanica “quantistica”). Ad alte frequenze, ossia a piccole lunghezze d’onda, i pacchetti sono più grandi, mentre sono più piccoli a basse frequenze.
Se però l’energia è emessa in pacchetti, significa che la superficie del corpo nero, prima di emettere radiazione, deve avere abbastanza energia per completare un quanto. Se non ne ha, non avviene l’emissione di energia.
È questa la rivoluzione della Meccanica quantistica: i fenomeni fisici non sono continui, ma sono discretizzati o, per dirla come i fisici, quantizzati.
Neanche a dirlo, la legge di Planck combaciava perfettamente con la curva di Wien ad alte frequenze e con la curva di Rayleigh-Jeans a basse frequenze, in perfetto accordo con i dati sperimentali.
La legge di Wien
Un’altra cosa importante da ricordare è che, più il corpo nero è caldo, più gli atomi che lo compongono oscillano, più hanno energia, più possono emettere dei pacchetti di energia grandi sotto forma di radiazione. E ricordate che se un pacchetto di energia è grande, significa che è ad alta frequenza.
Perciò, se la temperatura di un corpo nero cambia, cambia anche la frequenza in cui c’è il picco di emissione ed esiste una legge che lega il massimo di emissione alla temperatura del corpo. Questa legge fu formulata sempre da Wien e permette di stimare la temperatura superficiale di una stella: basta analizzare lo spettro di radiazione, disegnare la sua curva, individuare il massimo di emissione e utilizzare la legge di Wien per ricavare la temperatura.
Nell’immagine qui sotto sono disegnate le curve di Planck per dei corpi neri a varie temperature (T). Come vedete, al diminuire della temperatura il picco di emissione si sposta a lunghezze d’onda maggiori, ossia a frequenze più basse. La linea tratteggiata segue la legge di Wien.
Pillole
Alcune notizie di questi giorni, brevi.
OSIRIS-REx è partita
È stata lanciata l’8 settembre da Cape Canaveral la missione OSIRIS-REx, per raggiungere un asteroide, recuperare dei campioni e riportarli a terra. La sonda è ora diretta verso l’asteroide Bennu e lo raggiungerà nell’Agosto 2018. Prima di raccogliere dei campioni, OSIRIS-REx mapperà la superficie dell’asteroide usando uno scanner laser tridimensionale.
Cuore, per studiare i neutrini
Cuore (Cryogenic Underground Observatory for Rare Events) è un esperimento concepito per studiare le proprietà dei neutrini e in particolare per investigare l’esistenza di un processo fisico chiamato “doppio decadimento beta senza emissione di neutrini”. Nelle prossime settimane, dopo gli ultimi ritocchi, inizieranno le operazioni scientifiche. Dettagli qui.
Un sacco di buchi neri
Una ricerca dell’Università di Surrey, in Inghilterra, ha individuato centinaia di buchi neri all’interno dell’ammasso globulari di stelle NGC 6101, utilizzando delle avanzate simulazioni al computer. Solo la presenza di buchi neri può infatti spiegare la particolare dinamica dell’ammasso, ossia il movimento delle stelle che lo compongono. Le simulazioni al computer sfruttano le leggi fisiche conosciute per individuare oggetti celesti che altrimenti non potremmo vedere, determinandone le loro caratteristiche.
Abbiamo trovato Philae
Il lander Philae è un piccolo robot che è stato depositato dalla sonda Rosetta sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko il 12 Novembre 2014. L’atterraggio sulla cometa fu piuttosto rocambolesco, tanto che Philae finì in una zona poco illuminata da Sole ed entrò in ibernazione fino a scaricarsi completamente, permettendo agli scienziati di comunicare con lui poche volte. Ora Rosetta, che orbita attorno alla cometa, gli ha fatto una foto.
Come è oscillata la temperatura negli ultimi 136 anni rispetto alla media annuale? Ce lo spiega la NASA. Attenzione che il grafico non è facilissimo da interpretare. La fisica di Ale
La striscia di oggi. I fumetti di Alessandro sono su Vuoto Comico. Per approfondire
– La radiazione di corpo nero, in un video
– Un po’ di formule
– Volete giocare con la la legge di Planck? Qui un tutorial in inglese.
La radiazione di Hawking e il quantum spin liquid
Perché Hawking è così famoso? Per la sua vita straordinaria, certo, ma anche per aver derivato uno dei più importanti risultati della fisica moderna: la radiazione di Hawking. C’entrano i buchi neri e la Meccanica quantistica.
Per chi volesse leggere le vecchie newsletter, le trova tutte sul mio sito o su medium. Space break ha anche una pagina facebook e un account twitter, dove pubblico di tanto in tanto curiosità e approfondimenti.
Di cosa parliamo oggi
– chi è Stephen Hawking
– la radiazione di Hawking
– pillole della settimana
Chi è Stephen Hawking
Stephen Hawking è un fisico britannico. Nato nel 1942, da quando ha 21 anni è affetto da SLA, una malattia neurodegenerativa. A Hawking vennero dati due anni di vita. La vita media di una persona affetta da SLA è tra i due e i cinque anni e meno del 5% dei malati sopravvive per più vent’anni. Hawking oggi ha 74 anni ed è sopravvissuto per così a lungo che la sua malattia sembra essersi stabilizzata. Pur non riuscendo a muovere il suo corpo atrofizzato e dovendo comunicare attraverso un sintetizzatore vocale, ha una mente ancora particolarmente brillante. Discute di scienza e religione e continua a fare divulgazione scientifica e ricerca di buona qualità. Il suoi risultati più importanti sono stati raggiunti negli anni ’70. Nel 1971 ha contribuito a dimostrare il cosiddetto “No-hair theorem”, un teorema matematico che riguarda i buchi neri e le loro proprietà fisiche. Nel 1974 ha teorizzato l’esistenza di una radiazione termica proveniente dai buchi neri: la radiazione di Hawking. Ne parliamo oggi.
I buchi neri, in tre righe
I buchi neri sono oggetti celesti con una grande massa che riescono ad attirare ed intrappolare ogni cosa, compresa la radiazione elettromagnetica. Insomma, mangiano tutto. Siccome anche la luce non riesce a uscire, non li vediamo brillare. Sono neri, appunto.
La radiazione di Hawking
Nonostante dal punto di vista classico, ossia secondo la Teoria della Relatività Generale, nulla può uscire da un buco nero, Hawking ha dimostrato che gli effetti quantistici permettono ai buchi neri di emettere una radiazione. In sostanza si tratta di una radiazione termica che si comporta come se fosse emessa da un corpo nero a una certa temperatura.
Cos’è un corpo nero
Un corpo nero in fisica è quello che dice di essere: un corpo completamente nero che assorbe tutta la radiazione elettromagnetica che lo colpisce, senza rifletterla. Riesce però a emettere una radiazione termica, che dipende dalla sua temperatura. Un corpo nero è considerato solitamente un oggetto ideale, perché ci si aspetta che un qualsiasi materiale rifletta un po’ di luce, ma è un utile modello che viene spesso usato quando si studiano i fenomeni elettromagnetici.
Che c’entra con i buchi neri
Ecco, Hawking ha dimostrato che i buchi neri, che non sono un materiale ma degli oggetti celesti, si comportano come un corpo nero: nonostante “mangino tutto”, compresa la radiazione elettromagnetica, riescono a emettere una radiazione termica, come se questa fosse emessa da un corpo nero ad una certa temperatura. In questo caso la temperatura dipende dalla massa del buco nero.
Questa radiazione emessa è chiamata a volte evaporazione, perché fa perdere energia al buco nero e dunque gli fa perdere massa. Perciò se il buco nero non mangiasse nulla per molto tempo, continuerebbe a “evaporare”, rimpicciolendosi fino a scomparire.
Come si arriva a questo risultato
La dimostrazione dell’esistenza di questa radiazione fa uso dei principi della Meccanica quantistica, applicati nell’ambito della Teoria della Relatività. Abbiamo detto più volte che Meccanica quantistica e Relatività non vanno molto d’accordo: dove funziona una teoria, fallisce l’altra e viceversa. Tuttavia negli anni si sono trovati dei modi per utilizzarle insieme. Esiste una teoria che permette di unificare la Meccanica quantistica con la Relatività Speciale. Questa teoria, chiamata Teoria quantistica dei campi (Quantum field theory) è molto complicata, ma ha permesso di ricavare il Modello Standard delle particelle elementari. Insomma, è la Teoria che ha reso possibile l’esperimento del CERN e tutte le scoperte fisiche degli ultimi sessant’anni. La Teoria dei campi funziona però solo con la Relatività Speciale, non con la Relatività Generale, ossia funziona quando si trascurano gli effetti della gravità. Questo significa che non abbiamo ancora una teoria fisica in grado di descrivere tutti i fenomeni quantistici e la gravità. In particolare non siamo in grado di descrivere il comportamento quantistico della gravità stessa. Se si trovasse una teoria di questo tipo, sarebbe quella che i fisici chiamano La teoria del tutto, perché sarebbe in grado di spiegare tutti i fenomeni naturali in modo coerente.
Nonostante non siamo in grado di spiegare a fondo il comportamento quantistico della forza di gravità, è possibile però applicare la Teoria dei campi anche in presenza di gravità. È la cosiddetta Teoria dei campi in spaziotempo curvo. Non è una teoria completa, perché la gravità fa in qualche modo da spettatore ai processi fisici in gioco, ma ci permette di studiare alcuni fenomeni quantistici anche quando c’è la gravità – anche vicino a un buco nero, ad esempio.
Le particelle virtuali e la radiazione di Hawking
Molto spesso per spiegare la radiazione di Hawking viene utilizzato il concetto di particella virtuale. Le particelle virtuali sono in generale particelle che violano alcuni principi fisici, come il principio di conservazione o il principio di causalità. Per questo non sono considerate particelle vere e proprie. Si usano perché saltano fuori nella Teoria dei campi quando si fanno alcuni conti, ma la loro esistenza in natura è una questione più filosofica che scientifica.
Comunque sia, spesso la radiazione di Hawking viene spiegata utilizzando le particelle virtuali. Vicino al buco nero si formano e si distruggono continuamente delle coppie di particelle virtuali con energia nulla. A volte però queste coppie di particelle si dividono: una particella cade nel buco nero e una fugge da esso. Delle due, la seconda, allontanandosi dal buco nero, diventa reale ed in teoria è possibile misurarla: è quella che crea la radiazione di Hawking. La prima invece cade nel buco nero e non la vediamo più. Siccome poi la coppia aveva energia totale nulla e la particella uscente ha energia positiva, per la conservazione dell’energia si dice che le particelle virtuali cadute nel buco nero hanno energia negativa e sono quindi loro che fanno diminuire l’energia – ossia la massa – del buco nero, facendolo rimpicciolire.
Tuttavia questa descrizione, anche se evocativa e in un certo senso intuitiva, è sbagliata: in Teoria dei campi in spaziotempo curvo, ossia quando anche la gravità è in gioco, non è possibile definire chiaramente cosa sia una particella. La definizione di particella è chiara quando la gravità è spenta, ma quando la gravità è accesa perde di significato. Hawking stesso non utilizza le particelle virtuali negli articoli tecnici. Insomma, è possibile ottenere i risultati sulla radiazione di Hawking in maniera rigorosa senza utilizzare il concetto di particella virtuale, che è solo un espediente divulgativo.
La radiazione di Hawking è stata misurata?
No, e per un motivo molto semplice: i buchi neri sono difficili da trovare e sono molto distanti da noi. Non abbiamo ancora la tecnologia per avvicinarci a un buco nero e misurare la radiazione di Hawking. Tuttavia è possibile fare degli esperimenti in laboratorio per simulare il comportamento di un buco nero utilizzando fluidi o fibre ottiche. In questi esperimenti sono stati osservati dei comportamenti compatibili con la radiazione di Hawking.
Pillole della settimana
Alcune notizie di questi giorni, brevi.
Scoperto un nuovo stato della materia
I fisici hanno osservato, in un materiale di Cloruro di rutenio, un nuovo stato della materia che era stato previsto una quarantina di anni fa, chiamato quantum spin liquid. Si tratta di un liquido fatto di elettroni a temperature prossime allo zero assoluto (-273 °C). Solitamente a temperature così basse gli elettroni tendono ad allinearsi in maniera particolare. In questo caso invece non lo fanno. Questo nuovo stato della materia potrebbe servire in futuro per sviluppare i computer quantistici, ma è troppo presto per dirlo con certezza. Trovate tutto qui.
Nuovo test per New Shepard, il lanciatore di Blue Origin
Terzo test per Blue Origin, la compagnia di Jeff Bezof che sta sviluppando dei lanciatori per il turismo spaziale. New Shepard è salito fino a 103 Km di quota, per poi riatterrare verticalmente a terra. Guardate il video perché è fantascienza: New Shepard ha riattivato i motori a 1 Km da terra, decelerando paurosamente.
Le scoperte di NEOWISE
La missione NEOWISE (Near-Earth Object Wide-field Survey Explorer) della NASA per la ricerca di asteroidi vicini alla terra ha rilasciato nuovi dati. Dalla sua riattivazione NEOWISE ha scoperto 250 nuovi oggetti, di cui 72 vicini alla terra, e 4 nuove comete. I dettagli e un video di spiegazione sono qui.
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Per approfondire
– la radiazione di Hawking, spiegata in termini di particelle virtuali
– perché non abbiamo una foto di un buco nero (video in inglese)
– il paradosso dell’informazione dei buchi neri