L’orbita delle stelle: Einstein aveva ragione
Einstein aveva ragione e la Teoria della Relatività continua a predire risultati esatti a più di cento anni dalla sua formulazione.
C’è una stella, chiamata S2, che si trova in prossimità del centro della Via Lattea. Studiata da 27 anni, S2 ruota attorno a un punto “vuoto” dello spazio chiamato Sagittarius A*, che si ritiene sia il buco nero supermassiccio al centro della nostra galassia.
Le ultime osservazioni condotte nel deserto del Cile presso il Very Large Telescope, l’osservatorio astronomico finanziato dall’Organizzazione europea per la ricerca astronomica nell’emisfero australe, hanno rilevato che S2 non ruota seguendo un’orbita ellittica, come previsto dalla legge gravitazionale di Newton, ma esegue una precessione attorno al buco nero, percorrendo un’orbita a rosetta, come predetto dalle leggi della Teoria della Relatività.
Il moto di precessione è analogo a quello compiuto da Mercurio attorno al Sole.
Secondo le teorie moderne, al centro di ogni galassia si trova un buco nero supermassiccio. Nell’immagine che segue, vedete S2 che ruota attorno a qualcosa che non si vede. Per dare un’idea di quanto veloce stia andando, il righello in alto a destra (10 giorni luce) equivale a 259 miliardi di chilometri. Dai calcoli dell’orbita si è stimato che l’oggetto misterioso attorno al quale S2 sta girando ha una massa pari a 3,7 milioni di Soli. Secondo le teorie moderne un oggetto così grande che non emette radiazione può essere solo un buco nero.
Non è la prima volta che S2 viene utilizzata come campione per testare le previsioni della Relatività. Due anni fa le misure effettuate attraverso tecniche di spettrometria a infrarossi, interferometria e ottica adattiva rilevarono il redshift gravitazione delle onde elettromagnetiche provenienti dalla stella.
La fusione nucleare
La scorsa volta abbiamo parlato della fissione nucleare, mentre oggi parliamo di un altro tipo di reazione nucleare: la fusione. È la reazione che fa bruciare e quindi brillare le stelle.
Prima però ecco la puntata di Storie, il podcast in cui intervisto giovani ricercatori in fisica. In questa puntata ho parlato con Alessandro David, dell’Università di Costanza, che si occupa di informatica quantistica. L’audio purtroppo non è ottimale perché non ho potuto usare il nuovo microfono. Portate pazienza.
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Di cosa parliamo oggi
– la fusione nucleare
– la fusione delle stelle
– le centrali a fusione
La fusione nucleare
Se vi ricordate questa newsletter sugli orbitali atomici, avevamo detto che gli atomi che compongono la materia sono composti da un nucleo, in cui si trovano protoni e neutroni – attorno al quale “ruotano” degli elettroni – e che gli atomi sono classificati in base al numero di protoni che hanno: a un numero diverso di protoni corrisponde un elemento diverso della tavola periodica. I protoni all’interno del nucleo, poi, hanno una carica elettrica positiva e questo è il motivo per cui è molto difficile far avvicinare i nuclei di due atomi: avendo la stessa carica elettrica, si respingono.
Supponiamo però di riuscire a comprimere due nuclei atomici così tanto da superare questa repulsione: quando sono abbastanza vicini i nuclei degli atomi si fondono in un nucleo unico, con un numero diverso di protoni e neutroni. Da i due atomi iniziali si crea un terzo atomo, con una massa diversa: questo processo prende il nome di fusione nucleare.
Se notate, il processo di fusione è esattamente il contrario della fissione nucleare, in cui un atomo si spezza in frammenti più piccoli.
L’energia
Fortunatamente il processo di fusione non avviene in condizioni normali, perché i nuclei degli atomi tendono a stare a distanza a causa della repulsione elettromagnetica. In un certo senso è questo il motivo per cui esiste la materia e i nostri corpi non collassano su loro stessi.
Per innescare la fusione nucleare è necessaria energia: bisogna sconfiggere la repulsione tra i nuclei. Ma cosa accade una volta innescata?
Per capirlo dobbiamo tornare a immaginare come è fatto un nucleo atomico. I protoni e i neutroni nel nucleo sono tenuti insieme da una forza naturale chiamata interazione nucleare forte. Ne abbiamo parlato in una delle prime newsletter di Space Break. Nel momento della fusione tra due nuclei, i legami tra protoni e neutroni dovuti all’interazione nucleare forte si rompono, permettendo ai protoni e ai neutroni di ricombinarsi creando dei nuovi legami.
A questo punto si possono verificare due possibilità: o il prodotto della fusione ha una massa inferiore alle masse dei nuclei di partenza, oppure ha una massa maggiore.
Nel caso in cui il prodotto della fusione abbia una massa inferiore, significa che la massa mancante si è trasformata in energia, seguendo la famosa legge di Einstein E=mc^2. In questo caso, quindi, il processo di fusione è esotermico, ossia libera energia.
Nell’altro caso invece, ossia quando il prodotto della reazione ha una massa maggiore dei nuclei di partenza, significa che l’atomo ha assorbito energia, trasformandola in massa. Il processo di fusione è in questo caso endotermico: mangia energia.
Considerate che, a causa della legge di Einstein, una piccola variazione di massa corrisponde a una grande quantità di energia. Trasformando in energia un grammo di materia tramite la relazione E=mc^2 si ottengono circa 21480879541 Kcal, che è l’equivalente energetico di 36 milioni di pizze margherite.
In particolare, tutti i processi di fusione che coinvolgono i primi 26 elementi della tavola periodica – come ad esempio idrogeno, elio, carbonio, ossigeno, litio, sodio e ferro – sono esotermici e liberano una grande quantità di energia. I processi di fusione che coinvolgono altri elementi sono solitamente endotermici e consumano energia, creando nuovi elementi più “pesanti”.
La fusione delle stelle
In generale, più i nuclei di partenza sono “pesanti”, più è alta l’energia necessaria a innescare la reazione. Se ci pensate la cosa ha senso: gli atomi più pesanti hanno dei nuclei con un numero maggiore di protoni e quindi tendono a respingersi tra loro con più forza. Gli atomi più leggeri invece hanno meno protoni e quindi i loro nuclei sono più facili da avvicinare. Per questo motivo, sia in natura che nelle applicazioni tecnologiche della fusione, gli atomi coinvolti sono solitamente atomi di idrogeno, il cui nucleo ha un solo protone.
E l’idrogeno è l’ingrediente principale della reazione nucleare che avviene all’interno delle stelle. Le stelle infatti bruciano, emettendo una grande quantità di energia sotto forma di radiazioni elettromagnetiche, proprio grazie a un processo di fusione nucleare. Si ritiene che all’inizio della loro vita le stelle siano composte quasi esclusivamente di idrogeno e che questo si trasformi in altri elementi più pesanti, che possono a loro volta partecipare a nuovi processi di fusione.
L’intero processo, chiamato nucleosintesi, funziona più o meno così: nella parte esterna della stella, quella più superficiale e (quella più fredda), avviene la fusione dell’idrogeno. Questa reazione produce deuterio ed infine elio che, essendo più “pesante” – ha un nucleo con due protoni e due neutroni, mentre l’idrogeno ha solo un protone – scivola più internamente. Scivolando all’interno, però, l’elio si trova sottoposto a una pressione e a una temperatura maggiori e, se la pressione è sufficiente, si fonde producendo litio e berillio. A questo punto i prodotti della fusione nucleare, scivolano nuovamente verso l’interno e si innescano nuovi processi di fusione a più alte temperature: dal berillio si formano il carbonio, l’azoto, l’ossigeno e via via elementi sempre più pesanti. Si ritiene che nei nuclei delle stelle di medie dimensioni – come il nostro Sole – avvengano le reazioni esotermiche del ferro e del nichel e che – la cosa è abbastanza affascinante – tutti gli atomi di cui siamo composti siano stati prodotti in un lontano passato da dei processi di fusione nucleare come quelli che possiamo osservare oggi nelle stelle.
All’interno delle stelle avvengono anche dei particolari processi nucleari che, in certe circostanze, possono produrre elementi più pesanti del ferro e del nichel, ma non si tratta propriamente di fusione nucleare.
Le centrali a fusione
I processi di fusione nucleare liberano moltissima energia e da anni ci si interroga sulla possibilità di costruire delle centrali nucleari che utilizzino la fusione anziché la fissione nucleare: la fusione nucleare emette poche radiazioni, non lascia scorie radioattive e avviene a temperature molto più alte, rilasciando grandi quantità di energia.
La grande quantità di energia rilasciata e le temperature coinvolte sono di fatto il motivo per cui continuiamo a utilizzare centrali a fissione anziché centrali a fusione: anche riuscendo a innescare una reazione di fusione, come la si confina? Come possiamo controllarla? E soprattutto, come possiamo convertire tutta quell’energia rilasciata in energia elettrica in maniera efficiente?
A partire dagli anni settanta si sono susseguiti vari esperimenti per riprodurre in laboratorio le reazioni di fusione nucleare, come ad esempio JET, JT-60 o START.
Attualmente il progetto più avanzato per la costruzione di un reattore nucleare a fusione è ITER, un prototipo sperimentale in grado di produrre più energia di quanta ne serva per accenderlo. I processi di reazione che avverranno in ITER saranno confinati da forti campi elettromagnetici, tramite una macchina chiamata tokamak (qui trovate una foto del tokamak che si trova al MIT di Boston). Se si provasse a confinare la reazione nucleare con delle semplici pareti, brucerebbero.
Pillola
Oggi niente pillole, ma questa la dovete sapere. In settimana SpaceX ha annunciato che è intenzionata a inviare due turisti in orbita attorno alla Luna nel 2018. Sta nascendo il turismo spaziale sotto al nostro naso. Segnatevi la data.
A tal proposito l’INAF ha chiesto all’astronauta italiano Paolo Nespoli cosa ne pensa. Ecco l’intervista.
La fisica di Ale
La striscia di oggi. I fumetti di Alessandro sono su Vuoto Comico.